Studio di ricerca 2010- Carlotta Zanaboni

Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano

FACOLTà DI PSICOLOGIA

CORSO DI LAUREA IN PSICOLOGIA CLINICA

Salute, Relazioni Familiari e Interventi di Comunità A.A.2009/2010

CARLOTTA ZANABONI 3708810

RELATORE: CHIAR.MO PROF. ENRICO MOLINARI

 

La creatività nella sindrome di Tourette come caratteristica di personalità e tecnica riabilitativa: uno studio su bambini e adolescenti.

 

Al mio maestro,

Prof. Mauro Porta

 

INDICE

Premessa

1) Caratteristiche principali della sindrome di Tourette

1.1 Definizione

1.2 I tic

1.3 Classificazione della sindrome di Tourette

1.4 Comorbilità

1.5 Diagnosi differenziale ed eziologia dei tic

1.6 Componente genetica

1.7 Componente infettiva

1.8 Trattamenti psicologici

1.9 Trattamenti psicofarmacologici e Deep Brain Stimulation

2) Creatività: il costrutto

2.1 Introduzione

2.2 Definizione

2.3 Creatività e neuropsicologia

2.4 Modelli psicologici di creatività: Wertheimer, Guilford e Williams

3) Creatività e psicopatologia: quale legame? Dove il confine?

3.1 Tipi di psicopatologia e creatività

3.2 I tre modelli di concettualizzazione del costrutto della creatività 

3.2.1 Diversi tipi di creatività associati a diversi tipi di psicopatologia

3.2.1.1 Schizofrenia versus disturbi affettivi: diversi tipi di creatività?

3.2.1.2 Psicopatologia e creatività nelle scienze e nelle arti

3.2.2 Il continuum della creatività

3.2.2.1 Asse A: l’esempio dell’Outsider Art

3.2.2.2 I modelli del continuum della creatività nella letteratura

3.2.3 La creatività come costrutto unico

3.2.3.1 Nomi diversi, un costrutto

3.2.3.2 Un processo unico per diverse malattie mentali ed ambiti creativi

3.3 Prospettive psicologiche evolutive

3.4 Conclusione

4) La fluente espressione della creatività e le sostanza psicotrope

4.1 Stato della coscienza e creatività

4.2 Stupefacenti e psicofarmaci: verso una biochimica della creatività

4.2.1 Stupefacenti, psicofarmaci e creatività artistica: un’analisi sistematica

4.2.2 Stupefacenti, psicopatologie e creatività

4.3 Conclusione: la terapia della creatività

5) La creatività come tecnica riabilitativa nei pazienti TS

5.1 Introduzione

5.2 Le attività espressive

5.3 La preparazione dell’intervento di arteterapia

5.3.1 L’operatore e i quesiti della seduta

5.3.2 Valutazione della seduta e programmazione della successiva

5.4 Le molteplici forme di arteterapia

5.4.1 Terapia dell’arte figurativa

5.4.2 Musicoterapia

5.4.3 Danzaterapia

5.4.4. Drammaterapia

5.5 Uso riabilitativo delle attività espressive di arteterapia

6) La scuola: da ostacolo a supporto e luogo terapeutico

6.1 Introduzione

6.2 Comportamenti da tenere a scuola nei confronti del tourettiano

6.3 La sindrome di Tourette e la creatività nelle scuole

6.3.1 Introduzione dell’arteterapia a scuola

6.3.2 Il laboratorio creativo scolastico

6.3.3 L’esperienza per il tourettiano

7) La ricerca

7.1 Abstract

7.2 Introduzione

7.3 Ipotesi di ricerca

7.4 Metodo

7.4.1 Campione

7.4.1.1 Gruppo sperimentale

7.4.1.2 Gruppo di controllo

7.4.2 Strumenti

7.5 Risultati

7.5.1 Confronto intragruppo

7.5.1.1 Gruppo sperimentale

7.5.1.2 Gruppo di controllo

7.5.2 Confronto intergruppi

7.6 Discussione

7.7 Limiti

Conclusione

Bibliografia

Ringraziamenti

ALLEGATI

Consenso informato genitore/insegnante

Consenso informato minore

Test “Pensiero divergente”- Protocollo A

Test “Personalità creativa”

“Scala Williams”

Scheda sintetica dei risultati della valutazione

Profilo della creatività dello studente o della classe

 

2009 Anno Europeo della Creatività e Innovazione, competenze chiave per lo sviluppo

personale, sociale ed economico.

 

“Il processo creativo è insito nella natura umana ed è quindi, con tutto ciò che ne

consegue di felicità di esprimersi e di giocare con la fantasia, alla portata di tutti.

La mente è una sola.

La sua creatività va coltivata in tutte le direzioni.” Gianni Rodari, scrittore e giornalista.

 

PREMESSA

La mia tesi affronta il tema della creatività nella Sindrome di Tourette per dare una svolta

ai vissuti negativi dei pazienti affetti dalla “sindrome del cervello irriverente”; ha come

tentativo quello di ridestare speranza e trovare il lato positivo in una malattia purtroppo

non più da considerare rara, quanto non diagnosticata. La creatività è parte del tourettiano

ed è un’energia immensa che egli stesso può incanalare in un’attività artistica così da

dare, contemporaneamente, sfogo ai suoi impulsi e vita alla sua immaginazione

sovrannaturale nella forma di un prodotto apprezzabile dal mondo intero e per cui essere

stimato. Enormi potenzialità si celano dietro un velo di sofferenza, con tanta buona

volontà e un percorso di accompagnamento terapeutico è possibile far rinascere una

persona dotata.

E’ ponendomi quest’obiettivo che ho deciso di dimostrare scientificamente, tramite una

ricerca osservazionale, che le persone affette da questa sindrome possiedono un pensiero

divergente e una personalità creativa superiore alla media della popolazione.

Il testo si apre con una breve storia e le caratteristiche principali della sindrome.

Dopodiché passa in rassegna il costrutto della creatività e la forza del legame esistente fra

creatività e psicopatologia, anche in riferimento all’effetto che possono avere gli

psicofarmaci su tale dote umana.

Prosegue analizzando la creatività in chiave riabilitativa per il paziente tourettiano,

descrivendo in particolare la situazione scolastica.

In ultimo viene presentata la ricerca da me svolta presso l’Istituto Galeazzi di Milano

durante gli anni 2009 e 2010 nel reparto Centro malattie extrapiramidali e sindrome di

Tourette.

 

1 CARATTERISTICHE PRINCIPALI DELLA SINDROME DI TOURETTE

1.1 Definizione

La sindrome di Tourette (TS), anche chiamata disturbo di Tourette (DT), prende il nome

dal neurologo francese Georges Albert Édouard Brutus Gilles de la Tourette, che la

evidenziò nel 1800, anche se era già stata individuata sin dal 1600.

Si tratta di una sindrome neurocomportamentale cronica, nello specifico di un disturbo

della neurotrasmissione sinaptica che coinvolge i circuiti cortico-sottocorticali delle

regioni cerebrali anteriori, determinata principalmente da un metabolismo eccessivo di

dopamina.

E’ diagnosticabile in un individuo che mette in atto più tic motori e almeno un tic vocale

in un’età antecedente i 18 anni, se questi non sono dovuti ad abuso di sostanze o a

particolari condizioni mediche e se non trascorre una pausa delle manifestazioni

superiore ai tre mesi (World Health Organisation criteria for TS).

1.2 I tic

I tic sono vocalizzazioni o movimenti motori stereotipati, improvvisi, veloci, non ritmici

la loro comparsa è frequente, vengono percepiti come incontrollabili da chi li mette in

atto e possono coinvolgere tutto il corpo.

I disturbi da tic si manifestano soprattutto in età evolutiva: il 20% dei bambini in età

scolare presenta, almeno per alcuni periodi, un disturbo da tic.

Nella sindrome di Tourette solitamente i tic hanno esordio precedente ai 10 anni, la loro

progressione è rostro-caudale/centro-laterale e compaiono inizialmente in viso perlopiù

con blefarospasmo (chiusura persistente, forzata e involontaria delle palpebre). Dopo

qualche mese o anno, il soggetto presenta tic al collo, al tronco, agli arti e vocalizzazioni

o parole compiute, che spesso giungono alla palilalia, ecolalia ed ecoprassia. I tic sonori e

vocali hanno un’accentuazione fra i 10-15 anni, almeno nella maggioranza dei casi. Il

quadro clinico è variabile fino ai 20 anni: vi sono periodi di quiescenza, alternati a gravi

recrudescenze della sintomatologia, ma in genere compaiono più volte al giorno, quasi

ogni giorno. In più dell’80% dei casi si rilevano i premonitory urges (sensazioni

premonitrici), che potrebbero far inquadrare la sindrome come una patologia sensitivomotoria.

Nell’età adulta, cioè dopo i 20-25 anni, si ha invece una remissione spontanea

dei tic nel 50% dei casi. Si stima che la percentuale di adulti affetti dalla sindrome di

Tourette sia inferiore rispetto alla fascia di popolazione infantile e si attesti in un range

contenuto fra lo 0,1 e lo 0.5 per mille.

I tic causano un disadattamento familiare, lavorativo e sociale interferendo con queste ed

altre aree di funzionamento dell’essere umano, creando imbarazzo e riducendo la

percezione di autostima e soddisfazione personale.

Infatti non tutte le persone affette da tic sono in grado di controllarne la manifestazione

ed è per questo motivo che durante le visite neurologiche bisognerebbe cercare di mettere

in difficoltà il paziente o fingere di parlare con i suoi parenti per cercare di scatenarne una

comparsa.

I tic possono essere distinti in:

a) tic motori semplici:

_ clonici: brevi [di durata fino a 100 millesimi di secondo], a scatto (per es. ‘sbattere’ gli

occhi, scuotere bruscamente la testa, etc.)

_ distonici: [più lunghi di 300 millisec.], che mimano taluni movimenti o posture

abitudinari del soggetto, ovvero patologici come digrignamento dei denti (bruxismo):

tortacollo o rotazioni delle spalle, etc.

_ tonici: [prolungati per più di 500 millisec.], consistenti in contrazioni muscolari

progressive: per es. stiramento fin doloroso di un arto, dei muscoli addominali sino a

provocare il vomito, etc.

b) Tic motori complessi:

_ apparentemente non finalizzati: movimenti articolati, ma incongrui

_ finalistici: comportamenti di fatto compulsivi, cioè gesti che il soggetto “sente” di

dover compiere per raggiungere un determinato scopo (in genere ‘vietato’ : spingere,

stringere, toccare al volo qualcuno/qualcosa)

In certi casi il soggetto manifesta ecoprassia, cioè l’imitazione dei movimenti altrui e/o

coproprassia, vale a dire gesti osceni ripetuti.

c) Tic vocali semplici: colpi di tosse ‘a vuoto’; emissione di versi gutturali; ripetizione di

una parola; palilalia, vale a dire la ripetizione reiterata delle ultime sillabe, parole o frasi;

o ecolalia, cioè l’imitazione di suoni e parole pronunciate da altri

d) tic vocali complessi: sbraitamenti ed enunciazioni immotivate di frasi più o meno

compiute, fino all'incoercibile pulsione a proferire espressioni o parole imbarazzanti e/o

volgari: si parla in tal caso di coprolalia.

Joseph Jankovich(2001) per meglio caratterizzare la sintomatologia ticcosa motoria,

distingue diversi tipi di movimenti:

a) volontari: intenzionali (pianificati, iniziati senza sollecitazioni esterne) e responsivi

(indotti da stimoli esterni)

b) semivolontari (unvoluntary): indotti da stimoli interni all’organismo nell’ambito della

propriocezione o da situazioni psichiche abnormi ovvero da compulsioni

c) involontari (involuntary): non arrestabili (riflessi orteotendinei, crisi comiziali,

miocloni) o sopprimibili (tremori, distonie, corea, sterotipie)

d) automatici: appresi ed eseguiti senza l’intervento della coscienza (come il cammino).

1.3 Classificazione della sindrome di Tourette

Robertson e Baron-Cohen (1998) hanno proposto di distinguere clinicamente differenti

forme di sindrome di Tourette:

a) forme semplici o pure quando il soggetto in esame presenta solo tic motori e sonori,

più o meno complicati

b) forme full blown quando vi sono associate coprolalia, coproprassia, ecolalia ed eco

prassia

c) forme TS-plus quando sono riscontrabili comportamenti correlabili alla sindrome da

deficit di attenzione e iperattività (ADHD), al disturbo ossessivo-compulsivo (OCD) e al

disturbo di comportamento ossessivo-compulsivo (OCB), ovvero a problematiche

chiaramente psichiatriche, rendendo più complesso il trattamento del paziente.

1.4 Comorbilità

I soggetti affetti da questa sindrome mostrano alte correlazioni con altri disturbi

psicologici comportamentali come il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività

(ADHD, correlazione al 50/70% dei casi), il disturbo ossessivo-compulsivo (OCD,

correlazione al 50% dei casi) e il comportamento ossessivo-compulsivo.

Il quadro di ADHD, assai spesso associato in età pediatrica ai tic veri e propri, dopo i 10-

12 anni tende ad affievolirsi. Più tardi si presentano l’OCD e l’OCB, che compaiono in

genere verso gli 8-10 anni, ma che perdurano anche in età adulta.

Altri disturbi associati sono: disturbi dell’umore, disturbi d’ansia soprattutto dopo un

lungo periodo di controllo della manifestazione ticcosa, disturbi di personalità, disturbi

dell’apprendimento, comportamenti autolesionistici (SIB) , comportamenti complessi non

osceni ma socialmente inappropriati (NOSI), balbuzie, abuso di sostanze, aggressività e

depressione. I bambini presentano spesso un’elevata difficoltà nell’instaurare rapporti

profondi con i pari in quanto appaiono introversi e aggressivi, possiedono spesso un

atteggiamento di sfida e hanno scatti d’ira. Il picco del disturbo si può rilevare nel

periodo adolescenziale che, essendo un momento in cui viene attribuita grande enfasi alla

corporeità, implica ulteriori problematiche sociali.

1.5 Diagnosi differenziale ed eziologia dei tic

Per quanto riguarda l’eziologia, secondo Jankovic (2000) i tic possono essere suddivisi in:

a) tic primari che comprendono tic sporadici (motori o fonici con durata inferiore o

superiore ad un anno; tic dell’adulto- forme ricorrenti -; sindrome di Tourette) e le forme

ereditarie (sindrome di Tourette; morbo di Huntington; distonia primaria;

neuroacantocitosi; malattia di Hallervorden-Spatz; sclerosi tuberosa; malattia di Wilson)

b) tic secondari che comprendono forme post-infettive (post-encefalitici, corea di

Sydenham, ecc.), forme da assunzione di farmaci (psicotropi, L-Dopa, carbamazepina,

dintoina, antipsicotici, ecc.), forme post-intossicazione (da monossido di carbonio), forme

da alterazioni dello sviluppo del sistema nervoso centrale (alterazioni cromosomiche,

ritardi mentali, ecc.), forme da patologia varia a carico del sistema nervoso centrale (a

seguito di traumatismi o di insulti cerebrovascolari, alterazioni psichiatriche).

A livello neuropsichiatrico infantile non è raro incorrere in patologie ticcose rilevabili in

soggetti con esiti post-encefalitici, ovvero con ritardo mentale, autismo e soprattutto con

la sindrome di Asperger. Infatti sono riscontrabili turbe del linguaggio, stereotipie

comportamentali associate ad un quadro multiplo e complesso.

1.6 Componente genetica

La sindrome di Tourette è un disturbo ereditabile in circa 80% dei casi come gene

somatico dominante (gene SLITRK1), tuttavia membri della stessa famiglia possono

manifestare sintomi diversi. Un genitore ha il 50 % delle possibilità di trasmetterla ad uno

dei suoi figli. Il sesso del bambino può influenzare lo sviluppo del gene: le femmine

portatrici hanno il 70% di possibilità di sviluppare i sintomi, mentre i ragazzi il 99 % .

L’incidenza dei ragazzi affetti dalla sindrome rispetto alle ragazze è 3:1.

La componente ereditaria va interpretata come una predisposizione a presentare un

quadro clinico ticcoso, o le sindromi correlate, in presenza di “noxae” scatenanti, tra le

quali quelle da infezione da streptococco betaemolitico.

1.7 Componente infettiva

Tra i fattori ambientali un ruolo di rilievo spetta alle infezioni causate dallo Streptococco

betaemolitico di gruppo A (SBEGA). Questo batterio è estremamente diffuso nella

popolazione ed è il responsabile di oltre il 50 per cento delle faringotonsilliti.

I ricercatori americani del NIMH- National Institute Mental Health hanno descritto un

nuovo quadro patologico di natura reumatica: PANDAS (Pediatric Autoimmune

Neuropsychiatric Disorders Associated with Streptococcal infections), un gruppo di

disturbi diversi, in prevalenza disturbi ossessivo-compulsivi e disturbi da tic (compresi

alcuni casi di sindrome di Tourette) nei quali esiste una stretta associazione temporale tra

l’esordio della sintomatologia clinica ed una precedente infezione da SBEGA.

A tutt’oggi manca però l’evidenza di un marker biologico che permetta con certezza di

individuare i soggetti con PANDAS e soprattutto i soggetti a rischio di sviluppare tale

patologia in seguito ad un’infezione da Streptococco betaemolitico SBEGA.

1.8 Trattamenti psicologici

Nel caso la sintomatologia ticcosa sia moderata e ben tollerata da parte del paziente può

essere sufficiente il trattamento di tipo psicologico quale:

• Psicoterapia di sostegno individuale o familiare

• Trattamento cognitivo comportamentale (Pratica massiva, Controcondizionamento,

Condizionamento operante, Automonitoraggio, Habit reversal)

• Teacher training (vedi cap.6)

• Tecniche terapeutiche espressive (vedi cap.5)

1.9 Trattamenti psicofarmacologici e Deep Brain Stimulation

Essendo però una sindrome neurocomportamentale, la farmacoterapia è considerata il

trattamento di scelta per la Tourette e la sua efficacia è stata dimostrata in esperimenti

placebo (Leckman et all., 1991; Sallee, Nesbitt, Jackson, Sine, & Sethuraman, 1997;

Scahill, Leckman, Schultz, Katsovich, & Peterson, 2003; Shapiro et al., 1989). Questi

includono prove randomizzate che documentano l’efficacia degli agonisti alfa-2

adrenergici (clonidina, guanfacina), neurolettici convenzionali (es. aloperidolo,

pimozide), antipsicotici atipici (es. risperidone), benzodiazepine (es. clonazepam), tossina

botulinica A per gravi tic focali, antidepressivi triciclici (clomipramina), e degli inibitori

selettivi della ricaptazione della serotonina SSRI in quanto la serotonina é un modulatore

della dopamina (Leckman et al., 1991; Sallee et al., 1997; Scahill et al., 2003; Shapiro et

al., 1989).

Nei casi più gravi vengono inoltre proposti interventi di neurochirurgia come la DBS

(Deep Brain Stimulation) cioè un innesto permanente, ma reversibile, di elettrodi

nell’encefalo detta neurostimolazione stereotassica. Nello specifico i target della DBS

sono i nuclei intraliminari mediali e la porzione interna del nucleo ventrale orale

talamico. In presenza di gravi turbe comportamentali viene usualmente scelto il nucleo

accumbens, che è connesso con il sistema limbico comportamentale.

Algoritmo clinico-terapeutico:Terapia

Sintomi moderati e ben tollerati: Osservazione e psicoterapia di sostegno

Sintomi più gravi e rilevante disagio sociale: Farmacoterapia sistemica e locale (tossina botulinica)

No risposta terapeutica adeguata: Farmaci innovativi (tetrabenazina, aripiprazolo, dopamino-agonisti)

Sintomi persistono in forma grave: DBS

Tab.1.9.1 Sintomatologia e corrispondente piano terapeutico

 

2 CREATIVITA’: IL COSTRUTTO

2.1 Introduzione

L’etimologia del termine trova la sua radice sia nel latino, che nel sanscrito (Kar-Tr colui

che fa dal niente, il creatore).

L'idea di creatività come atteggiamento mentale proprio, ma non esclusivo, degli esseri

umani nasce nel Novecento. L'atto del creare è stato a lungo percepito come attributo

esclusivo della divinità, mentre propri dell'uomo erano invenzione, genio e, a partire dal

1700, progresso e innovazione. I primi studi sul fenomeno risalgono agli anni ‘20, la

parola creatività entra nel lessico italiano solo negli anni ’50.

2.2 Definizione

Secondo il matematico Henri Poincaré (1929): "Creatività è unire elementi esistenti con

connessioni nuove, che siano utili".

Le categorie di "nuovo" e "utile" radicano l'attività creativa nella società e nella storia. Il

"nuovo" è relativo al periodo storico in cui viene concepito; l'"utile" è connesso con la

comprensione e il riconoscimento sociale. Nuovo e utile illustrano adeguatamente

l'essenza dell'atto creativo: un superamento delle regole esistenti (il nuovo) che istituisca

un’ulteriore regola condivisa (l'utile). Si individuano anche le due dimensioni del

processo creativo che unisce disordine e ordine, paradosso e metodo.

Infine, le categorie di nuovo e utile ampliano la sfera delle attività creative a tutto l'agire

umano a cui sia riconosciuta una funzionalità - estetica o etica - e che sviluppi uno dei tre

possibili gradi di novità: applicazione nuova di una "regola" esistente, estensione di una

regola esistente a un campo nuovo, istituzione di una regola del tutto nuova.

Poiché si fonda sulla profonda conoscenza delle regole da superare, la creatività non può

svilupparsi in assenza di competenze preliminari. Caratteristiche della personalità

creativa sono curiosità, bisogno d'ordine e di successo (non in termini economici),

indipendenza, spirito critico, insoddisfazione, autodisciplina.

La creatività è espressione tipicamente umana perché si fonda anche sul possesso di un

linguaggio a volte astratto (fatto di parole, numeri, note musicali..) e atto a compiere

discriminazioni sottili.

2.3 Creatività e neuropsicologia

In neuropsicologia l'aspetto propriamente individuale della creatività viene studiata con i

metodi tipici dello studio delle funzioni cerebrali (come memoria, linguaggio e

attenzione) che si basano sul confronto dell'espressione di diverse capacità neuro-motorie

in relazione a tre circostanze:

1. fasi dello sviluppo del soggetti

2. eventuali lesioni selettive

3. livello di eccellenza nello svolgimento di una determinata funzione

Questo metodo ha significato il prevalere dell'ottica riduzionista (le facoltà hanno sede

nel cervello) e ha contribuito a notevoli successi quantitativi grazie anche alle recenti

tecniche di imaging del cervello in attività.

L'ambito individuale dello studio della creatività si concentra quindi sulle capacità

dell'atto creativo addebitabili a differenze individuali e che possono essere quindi affinate

tramite una pratica e un insegnamento.

Le teorie correnti per una neuropsicologia della creatività si basano in parte sul modello

dell'information processing di Lindsay & Norman (1977). Questo approccio ha come

presupposto principale l'analogia tra le operazioni mentali umane e quelle del calcolatore

elettronico. I processi psicologici, in altri termini, sono studiati come se fossero simili a

processi di elaborazione meccanica dell'informazione.

Sarnoff Mednick (1988) pose l'accento sull'aspetto ricombinatorio: il cervello contiene

informazioni memorizzate in forma discreta, mentre appositi stati mentali potrebbero

favorire associazioni nuove tra gli elementi esistenti. Per esempio chi pensa per immagini

potrebbe notare elementi figurativi comuni in due esperienze che sono trascurati da chi

pensa per parole.

Negli anni '60 e '70 Eugen Bleuler studiando la dementia praecox ne sottolineò quattro

aspetti particolari:

1. allentamento delle associazioni mentali

2. anaffettività

3. ambivalenza

4. autismo

L'ipotesi sviluppata dopo Bleuler fu che la tendenza a formulare associazioni inusuali

fosse alla base di questo disturbo, che egli battezzò schizofrenia.

Da altri studi psicometrici condotti su individui creativi era stata individuata una tendenza

alla iperinclusività degli elementi, sino alla produzione di collegamenti improbabili. Si

poteva immaginare che uno stile di pensiero schizofrenico di disinibizione nelle

associazioni, ma senza l'angoscia e la destrutturazione della patologia corrispondente,

potesse essere alla base dell'atto creativo.

Albert Rothenberg (1979) coniò il termine pensiero bifronte o gianusiano per far

riferimento all’abilità ad ideare e tenere a mente due o più pensieri contraddittori o

opposti simultaneamente, capacità associata alla creatività.

Ad oggi (Porta, 2009) nei soggetti tourettiani una momentanea riduzione dell’attivazione

corticale/culturale dei lobi frontali permette un allentamento dei vincoli logici e

l’emergere delle componenti emotive. L’emisfero sinistro, normalmente dominante (“la

cifra” dell’homo sapiens), viene sopraffatto dalla sua parte controlaterale (“la cifra”

dell’homo ludens). L’aspetto ludico prevale rispetto al razionale e, pur nei risvolti di

meccanismi fisiopatologici alterati, la loro capacità creativa emerge talvolta in modo

esaltante incanalando in modo più produttivo l’energia altrimenti dispersa nelle

manifestazioni ticcose e nelle esplosioni verbali.

2.4 Modelli psicologici di creatività: Wertheimer, Guilford e Williams

M. Wertheimer (1940), fondatore della scuola della Gestalt, che si è occupato in modo

particolare del procedimento di risoluzione dei problemi, aveva distinto tra pensiero

riproduttivo che tende a ripetere le soluzioni note e a vedere le cose sempre allo stesso

modo, e pensiero produttivo capace di riorganizzare gli elementi della situazione in modo

nuovo a seconda delle esigenze che si presentano.

A partire dagli anni ’50 J.P. Guilford sottolinea come l’intelligenza non vada intesa solo

come espressione di capacità logico-matematica-linguistica, ma anche di capacità

gestaltica-cinestesica-emotiva. Introducendo il pensiero convergente e divergente

Guilford ha eliminato la confusione tra intelligenza e creatività: la prima è una

dimensione psichica complessa e multifattoriale che comprende la seconda.

Il pensiero convergente si manifesta nei problemi che ammettono un’unica soluzione

corretta, i ragionamenti convergono verso un’unica possibilità ed ogni deviazione è

sbagliata. Invece il pensiero divergente si esprime quando la soluzione di un problema è

aperta e sono possibili più risposte rilevanti, si cambia spesso modo di procedere e si

possono seguire piste diverse che portano a mete differenti. Il pensiero divergente ha

dunque un ruolo importante nell’atto creativo perché l’artista ha spesso bisogno di

esplorare una serie di possibili modi di dare vita al suo ingegno prima di decidere quale

sia il migliore. Più ampia è la gamma di possibilità che si è in grado di produrre, più alta

è la probabilità che una di esse dia prova di originalità. Secondo Guilford il pensiero

divergente comprende i seguenti fattori: la fluidità delle idee, la flessibilità,

l’elaborazione, la valutazione e ridefinizione (o sensibilità ai problemi) e l’originalità.

Questa teoria viene confermata in seguito dagli studi di Torrance (1959), Williams

(1966), Cropley, (1969) e Meeker(1977).

Il modello di Williams, utilizzato nelle ricerca presso l’Istituto Galeazzi di Milano,

riprende quello di Guilford sui fattori dell’intelligenza umana e fa riferimento a quattro

fattori cognitivo-divergenti del pensiero creativo e a quattro fattori emotivo-divergenti

della personalità creativa. Nell’ambito cognitivo- intellettivo sono presenti:

1) il pensiero fluido (pensare di più) che indica la generazione di una grande quantità di

idee, un flusso veloce del pensiero e un numero di risposte rilevanti

2) il pensiero flessibile (assumere diversi approcci) ed è rappresentato da una varietà di

tipi di idee, capacità di passare da una categoria all’altra e di cambiare direzione di

pensiero aggirando gli ostacoli

3) il pensiero originale (pensare in modi nuovi o unici) ed è fornito da risposte insolite,

idee astute e da una produzione mentale che si discosta dall’ovvio

4) il pensiero elaborativo (aggiungere a) e significa abbellire un’idea o una risposta

semplice per renderla più elegante, estendere o espandere ragionamenti o idee

Nell’ambito emozionale della personalità si trovano invece:

1) curiosità (avere voglia di) e quindi essere indagatori e fantasticare, giocare con

un’idea, essere aperti a situazioni sconcertanti e meditare sul mistero delle cose

2) immaginazione (avere il potere di) che è data dal visualizzare e costruire immagini

mentali, sognare cose che non sono mai accadute, sentire intuitivamente, andare al di là

dei limiti sensoriali o delle caratteristiche reali

3) complessità (sentirsi sfidati a), vale a dire cercare numerose alternative, vedere il

divario che c’è tra come le cose sono e come dovrebbero essere, ripristinare l’ordine

partendo dal caos e sapersi muovere fra idee o problemi intricati

4) disponibilità ad assumersi rischi (avere il coraggio di) e cioè esporsi al fallimento o

alle critiche, tentare d’indovinare, operare bene anche in condizioni destrutturate e

difendere le proprie idee.

 

3 CREATIVITA’ E PSICOPATOLOGIA: QUALE LEGAME? DOVE IL CONFINE?

“Se un uomo arriva alla porta della poesia inviolato dalla follia delle Muse , credendo

che la sola tecnica farà di lui un buon poeta, egli e le sue sane composizioni non

raggiungeranno mai la perfezione, ma saranno interamente eclissate dai capolavori

degli uomini folli ispirati”. (Platone, 428/427 BC-348/347 BC)

"Noi del mestiere siamo tutti pazzi, alcuni sono affetti da gaiezza, altri da malinconia, ma

tutti siamo toccati dall'insània". (Lord Byron, 1788-1824)

“Quando un intelletto superiore ed un temperamento psicopatico si fondono…nella

stessa persona, abbiamo la condizione perfetta per il tipo di genio che si trova nei

dizionari biografici”. (William James, 1842-1910)

“Un uomo deve avere il caos dentro di sè, per dare vita ad una stella danzante”.

(Friedrich Nietzsche, 1844-1900)

La conoscenza di un legame fra genio e sregolatezza deriva dai tempi di Socrate e

Platone, ma è solo con la disciplina scientifica psicologica che la connessione fra questi

due elementi si è potuta trasformare da senso comune e/o storico filosofico a teoria

fondata empiricamente.

Molte ricerche assumono che la creatività sia un costrutto singolo. Parallelamente alle

concettualizzazioni multidimensionali della psicosi, il costrutto della creatività si può

estendere lungo un continuum; o può esistere in forme distinte ed indipendenti. Ogni

concettualizzazione della creatività condurrà ad implicazioni specifiche per la sua

associazione con la psicopatologia. Sono qui proposte tre concettualizzazioni del

costrutto della creatività.

Nel paragrafo 3.1 verrà presentato il background di questi modelli in relazione alle

diverse psicopatologie e la loro associazione all’abilità creativa. Nel paragrafo 3.2 sono

descritti i tre modelli di concettualizzazione del costrutto della creatività. Nel paragrafo

3.3 verrà stabilita la loro compatibilità con la psicologia evolutiva.

3.1 Tipi di psicopatologia e creatività

Nella seconda metà del XX sec diversi studi psicobiografici iniziano a verificare la

relazione empirica fra creatività e predisposizione alla malattia mentale.

La prima associazione scientifica fra follia e creatività viene fatta risalire all’”Uomo di

genio” (1985) di Lombroso.

A seguire, Jamison (1993) scoprì che i disturbi dell’umore, i suicidi e

l’istituzionalizzazione erano venti volte superiori in un campione di grandi poeti

britannici e irlandesi fra il 1705 e il 1805 rispetto alla popolazione normale. Questi studi

dimostrano la grande prevalenza della psicosi fra i creatori eminenti del passato in

confronto alla popolazione generale, suggerendo un legame empirico fra follia e

creatività.

Con il passare del tempo ci si iniziò ad interrogare sulle forme di psicopatologia più

fortemente associate alla creatività: nel 20esimo secolo gli studiosi si soffermarono

soprattutto sulla schizofrenia. Mentre più recentemente la creatività sembra essere legata

ai disturbi affettivi, in particolare al disturbo bipolare. Jamison (1993) affermò che la

creatività è associata solo ai disturbi affettivi, mentre Sass (2001) ha un approccio più

sistematico introducendo il fattore delle norme culturali e sociali.

Nonostante questo dibattito, molti teorici- fra cui Claridge, Pryor e Watkins (1998) -

propongono che siano le forme più lievi di psicosi alla fonte dell’associazione folliacreatività;

viceversa, nelle forme più gravi gli stili cognitivi e i tratti di personalità dei

pazienti sono unicamente debilitanti.

Relativamente alle prospettive dimensionali, Eysenck ha proposto che la dimensione P

della personalità (P) sia direttamente legata alla creatività, mediata da un pensiero di tipo

divergente e da una bassa inibizione, determinata da livelli elevati di dopamina nel

sistema nervoso.

La natura ereditabile dell’associazione fra creatività e psicopatologia evidenzia una

componente genetica del legame. Karlsson (1970) scoprì che i parenti di primo grado dei

pazienti psichiatrici degli ospedale islandesi fra il 1851 e il 1940 erano due volte più

predisposti a lavorare in campi artistici di quanto non lo fosse la popolazione normale.

Infine per quanto riguarda il rapporto causale fra i due elementi, ci sono altre spiegazioni

possibili legate al soggetto specifico, alla natura della sua eventuale patologia e ai fattori

contestuali. Richards e Kinney (2000) proposero 5 tipologie: la psicopatologia

direttamente o indirettamente conduce all’essere creativo, la creatività direttamente o

indirettamente porta alla psicopatologia, oppure vi è la presenza di un terzo fattore

esterno riguardante il legame, come per esempio una predisposizione familiare al disturbo

mentale. Ludwig (1995) invece suggerì 4 posizioni: la psicopatologia causa un

decremento o un incremento della creatività e la creatività potenzialmente porta ad un

miglioramento o ad un attenuarsi dei sintomi psicopatologici.

3.2 I tre modelli di concettualizzazione del costrutto della creatività

3.2.1 Diversi tipi di creatività associati a diversi tipi di psicopatologia

L’assunto di questo primo modello è che, qualunque sia il legame causale esistente fra

creatività e psicopatologia, il tipo di abilità creativa presente in un individuo afflitto da

psicopatologia è intrinsecamente legato alla tipologia di quest’ultima. È possibile che gli

individui che presentano determinate psicosi esibiscano un tipo di creatività differente da

quella di soggetti con un altro tipo di disordine psicologico.

Vengono qui esplorate queste ipotesi, sia in termini di esistenza di diversi tipi di

creatività in campi distinti, sia fra differenti tipi di malattia mentale.

Tab.3.2.1.1 Modello interattivo fra tipologie di psicopatologie e di abilità creative, Sass (2001)

tipo di psicopatologia tipo di abilità creativa

3.2.1.1 Schizofrenia versus disturbi affettivi: diversi tipi di creatività?

La discussione a proposito di quale tipo di psicosi sia legato all’abilità creativa può essere

utilizzata per supportare l’esistenza di diversi tipi di creatività.

Assumendo l’esistenza di un solo tipo di creatività, Jamison (1993) suppone che la

creatività sia legata solo ai disturbi affettivi. Il suo campione di creatori eminenti

presentava infatti una maggiore prevalenza di disturbi affettivi rispetto alla popolazione

generale ed una presenza non significativa di psicosi schizofreniche. Secondo la Jamison

ogni tipologia di umore appartenente al disturbo affettivo fornisce specifici contributi

all’abilità creativa. I periodi di lieve maniacalità attivano un’elevata energia, rapidità,

flessibilità e fluidità di pensiero, e parallelamente gli aspetti cognitivi dell’ipomania

attivano il pensiero immaginativo. La depressione permette una raffinatezza meticolosa,

il focus e l’organizzazione delle idee generali costituite durante il periodo maniacale.

Fluttuando attraverso questi due umori il soggetto sperimenta un range di emozioni che

facilita un’empatia relazionale con il prossimo.

Nella ricerca di Andreasen e Powers (1974) lo stile di pensiero degli scrittori creativi era

più simile a quello dei pazienti con disturbi affettivi piuttosto che schizofrenici; Richards

e Kinney (1988) scoprirono inoltre un’alta prevalenza di ipomania e ciclotimia legata alla

creatività e al successo professionale nei parenti di primo grado dei pazienti affetti da

disturbo bipolare.

Nonostante le scoperte di Jamison (1993), la creatività dei soggetti con disturbi affettivi

può non corrispondere ad una manifestazione espressiva totale di questa capacità, quanto

può realizzarsi in una specifica forma di creatività, definita dai tratti di quella particolare

psicopatologia. Sass (2001) suggerisce una distinzione fra i diversi tipi di creatività

prodotti dalle differenti psicopatologie. Innanzitutto nota che il campione di soggetti

creativi utilizzato dalla Jamison (1993), fra cui William Blake (1757-1827) e Lord Byron

(1788-1824), appartenga al periodo romantico (dal tardo XVIII sec al primo XIX sec).

Durante questo periodo gli artisti rifiutavano i primi albori dell’illuminismo, in cui la

follia era fonte di emarginazione; essi invece la accettavano e la connettevano con la

creatività (Becker, 2001). Lo stereotipo del temperamento del genio illuminista si

specchia nel disturbo affettivo e fa pensare che i creativi di quel periodo fossero affetti da

questo disturbo, moderato nella maggior parte dei casi. Invece erano i tratti accentuati del

disturbo dell’umore a contribuire allo stile florido, espansivo ed emotivo del

romanticismo. I capolavori di Ruskin (1819-1900) e Byron sono esempi di questa

interconnessione. Perciò le scoperte di Jamison (1993) riflettono solo le aspettative

culturali e i limiti imposti dal neoilluminismo durante il romanticismo, periodo dal quale

fu tratto il suo campione.

Viceversa la schizofrenia conduce ad un tipo di pensiero opposto e distinto. I soggetti

sperimentano un senso di alienazione, distacco e affinità per il pensiero non conformista.

Questi elementi sono agli antipodi rispetto alla filosofia del neoilluminismo e ciò

giustifica la scarsità delle scoperte di tendenze schizofreniche nei geni del periodo

romantico. In ogni modo, i tratti schizofrenici condividono molti elementi con il

movimento post-moderno del XX sec, le cui norme sociali richiedevano una simile

rimozione del soggettivo al fine di costituire una visione del mondo completamente

oggettivata.

Una pletora di geni del XX sec, come Dalì (1904-1989) e Kafka (1883- 1924), era affetta

da schizofrenia. Il fatto che le culture romantiche e post-moderne, appartenenti a due

climi storici differenti, abbiano alimentato, accettato e ritenuto creativi stili di pensiero

differenti -ognuno correlato con un tipo specifico di malattia mentale- suggerisce una

distinzione fra i tipi di creatività associati con particolari psicopatologie.

Sass (2001) riconosce che il termine creativo è intrinsecamente legato ai limiti culturali e

alle interpretazioni sociali. Basandosi sulle teorie di Kuhn (1970), Sass (2001) distingue

ulteriormente fra i due tipi di creatività che derivano dal disturbo affettivo e dalla

schizofrenia. Kuhn (1970) separa la scienza normale da quella rivoluzionaria, una

dicotomia che secondo Sass (2001) può essere estesa ad ogni settore.

La creatività normale include una capacità di problem solving attinente alle norme socioculturali;

invece la creatività rivoluzionaria trascende i confini socio-culturali,

costituendo nuovi paradigmi che modificano l’apparenza di un campo preesistente.

Sass (2001) pensa che la creatività normale e rivoluzionaria siano legate ad una tipo di

psicopatologia differente. I soggetti con disturbi affettivi sono ossessionati dalle norme

culturali: gli stati maniacali reclamano la grandiosità in una gerarchia sociale e i soggetti

depressi hanno un sensibilità superiore per i fenomeni sociali. Quindi, i disturbi affettivi

perpetuano la creatività limitandola al normale. Invece, la persona schizoide è

predisposta ad un senso di distaccamento dal mondo, libera dai limiti sociali e capace di

considerare punti di vista alternativi, producendo la creatività in una sfera rivoluzionaria

(Storr,1972). La patologia schizotipica di Newton (1643-1727) e Einstein (1879-1955),

per esempio, ha dato luogo al loro stampo rivoluzionario nelle scienze esatte.

Contrariamente alla posizione di Jamison (1993), per la quale la schizofrenia è priva di

immaginazione, Sass (2001) propone che la schizofrenia scateni una forma di creatività

superiore e più innovativa rispetto a quella dei disturbi affettivi. Questo assunto è

sostenuto dalla scoperta, di Goodwin e della stessa Jamison (1990), che in tre quarti della

ricerca esista una correlazione positiva fra individui con disturbi dell’affetto e il ceto

elevato. Questi soggetti sono fortemente attaccati alle norme e alle gerarchie sociali e di

conseguenza possiedono un tipo di mentalità normale, legata alle sovrastrutture culturali.

Csikzentmihaly (1998) supporta il punto di vista di Sass (2001) affermando che un

prodotto è ufficialmente creativo solo nel momento in cui è stato giudicato tale da altre

persone all’interno di una cultura. A seconda dei periodi storici e delle culture, i diversi

tipi di creatività, e di conseguenza la loro associazione con specifiche malattie mentali,

presentano caratteristiche differenti.

Le teorie di Sass (2001) potrebbero dunque fondersi con la seguente prospettiva più

globale. L’opera creativa normale, appartenente a soggetti affetti da disturbi affettivi,

verrà probabilmente giudicata in modo più positivo dalle varie popolazioni rispetto

all’opera creativa rivoluzionaria degli individui schizofrenici. Sarà quindi maggiormente

presente una quantità di prodotti creativi normali piuttosto che rivoluzionari vista anche

la più alta prevalenza di creatività nei soggetti con disturbi affettivi rispetto a quelli

schizofrenici. Questa conclusione ha messo in evidenza l’esistenza di un’associazione fra

tipi di psicopatologie diverse e tipi di abilità creativa diverse.

3.2.1.2 Psicopatologia e creatività nelle scienze e nelle arti

Guilford (1968) scoprì che il pensiero divergente simbolico e semantico, legato alla

creatività negli scrittori e negli scienziati, fosse correlato ad un QI più elevato di quanto

non lo fosse il pensiero divergente figurativo di artisti e musicisti. Dunque vi sono forme

di creatività distinte e ad ognuna corrispondono livelli diversi di QI.

La relazione fra il QI e gli specifici tratti creativi può spiegare le differenze nelle

associazioni fra le varie forme di psicopatologia e di creatività. Inoltre Claridge e coll.

(1998) hanno dimostrato che un alto livello di QI può proteggere da uno sviluppo

conclamato di psicopatologie. Dunque gli scienziati sono più protetti dalle forme gravi di

disturbo mentale rispetto agli artisti che possiedono un QI in media più basso. Posts

(1994) ha confermato questo assunto verificando la presenza di una maggior prevalenza

di psicopatologie fra gli artisti piuttosto che fra gli scienziati.

Per quanto riguarda la creatività artistica, Claridge e coll. (1998) scoprirono che le varie

tipologie sono presenti in aspetti diversi della psicosi. La schizofrenia, con il suo forte

legame ai disturbi del linguaggio e del pensiero, è associata alla scrittura creativa.

Il dipinto e la composizione musicale, che si basano sui processi sensoriali e percettivi,

dipendono da diverse forme di pensiero, linguaggio e tratti basati sulle emozioni: le

diverse psicopatologie hanno effetti differenti sulla predisposizione ad una determinata

abilità creativa e modellano forme stilistiche differenti.

A proposito, invece, della creatività scientifica esiste un diverso tipo di processo.

Chadwick (1992) ha legato il processo di costruzione di una teoria del pensiero originale

scientifico al processo d’illusione del pensiero schizofrenico, definendo simili i due

meccanismi di base. Nello specifico, paragona la convinzione degli scienziati sulla

validità delle proprie scoperte scientifiche con la ferma credenza da parte dei pazienti

schizofrenici nelle proprie illusioni e deliri; di conseguenza entrambi condividono una

grandiosità di pensiero. La differenza principale fra le illusioni e il processo di

costruzione di una teoria è che quest’ultimo è verificabile nella realtà e dalla razionalità

umana.

Presentiamo ora il modello dimensionale di psicosi e creatività nella struttura del

processo dell’informazione neurocognitiva proposto da Prentky (1980). Il modello si

estende su un continuum, ai quali estremi sono presenti due diversi tipi di creatività; al

centro invece risiede la “normalità” dei processi di pensiero cognitivo.

Al primo estremo c’è il tipo chiuso o C (concrete), che corrisponde ai disturbi del

pensiero di tipo psicotico associati a basso arousal, bassa deconcentrazione, alto focus

attentivo e un irrigidimento dei confini ideativi, cioè un pensiero sottoinclusivo. Questo

tipo di personalità è analitica, focalizzata sul problem solving, mette in atto anomalie

significative ed impreviste con sintomi schizoidi come appiattimento dell’affettività,

ritiro e apatia. All’estremo opposto c’è il tipo attivo o A (abstract), caratterizzato da

disturbi psicotici con i sintomi dei disturbi affettivi, arousal elevato, alta distraibilità,

debole focus attentivo e una progressiva perdita di confini ideativi, cioè un pensiero

iperinclusivo.

Brod (1997) approfondì ulteriormente il modello di Prentky proponendo dei profili

schizotipici da far corrispondere al tipo C e A. L’anedonia introversa appartiene alla

personalità di tipo C, la creatività di questi soggetti non clinici è caratterizzata da una alta

connettività nei contenuti del processo d’informazione e ha come esito prodotti

funzionali, scientifici e filosofici. All’estremo opposto Brod scopre come la

disorganizzazione cognitiva corrisponda pienamente alla personalità di tipo A. Questi

soggetti presentano una creatività non finalistica, una irrequietezza intersoggettiva per

contenere e controllare il flusso di idee e le associazioni di emozioni, conducendo ad un

tipo di creatività emotiva e simbolica, tipica della poesia, letteratura, danza e

composizione musicale.

Partendo da questi due modelli, Nettle (2006) testò individui di discipline creative di

vario genere, con la scala O-LIFE per valutare i profili schizotipici. Gli artisti mostrano

tratti schizotipici elevati, esperienze inusuali; mentre gli scienziati e i matematici

mostrarono punteggi più alti nei tratti schizotipici negativi come appunto l’anedonia

introversa, in corrispondenza al modello di Brod.

3.2.2 Il continuum della creatività

Un modello alternativo a quello illustrato, secondo il quale esiste una rigida

corrispondenza fra tipologie di psicopatologia e tipologie di creatività, inserisce la

creatività all’interno di due assi intersecati.

Tab.3.2.2.1 Concettualizzazione della creatività sugli assi A (quotidiana - eminente) e B (scientifica

- artistica), Kuhn (1970)

L’asse A riprende la dicotomia di Kuhn (1970) e si estende dalla creatività quotidiana

alla creatività eminente; l’asse B dalla creatività scientifica alla creatività artistica.

Spostandosi sull’asse A verso il livello massimo di creatività eminente si evidenzia una

maggiore probabilità di tratti psicopatologici; ma questo non implica che tutti i creatori

eminenti abbiano tratti psicopatologici. L’asse A, e quindi anche il bagaglio

psicopatologico, influenza il coinvolgimento del soggetto in particolari discipline

creative. In aggiunta, i tratti di personalità di un individuo e i fattori ambientali e culturali

interagiscono in maniera non lineare per determinare la posizione del soggetto lungo gli

assi.

3.2.2.1 Asse A: l’esempio dell’Outsider Art

L’Outsider Art, definita per la prima volta “Art Brut” da Jean Dubuffet (1901-1985) e in

italiano Arte Grezza, è il movimento creativo prodotto dai soggetti naif del mondo

dell’arte. Resistenti alle norme estetiche convenzionali (Cardinal, 2006), questi artisti

sono in genere indipendenti, appassionati, focalizzati sui loro vissuti interni, preferiscono

spesso la solitudine alla comunicazione con il mondo esterno. Lavorano con una forte

tendenza all’espressività, all’ordine e alla ricerca del dettaglio. L’Arte Grezza non viene

riconosciuta fra i movimenti artistici tradizionali e si può notare come gli artisti

appartenenti a questa corrente abbiano spesso malattie mentali.

La marginalizzazione dell’Outsider Art suggerisce una distinzione fra l’arte della malattia

mentale e quella degli artisti eminenti. In ogni modo, l’Outsider Art ha giocato un ruolo

significativo nel modernismo del XX sec. Si può infatti evincere un parallelismo fra le

qualità dell’artista outsider e l’artista del movimento modernista. Il modernismo aveva

l’intento di rompere le convenzioni, ignorare le norme sociali, possedendo una forte

autoconsapevolezza di queste caratteristiche (Cardinal, 2006); allo stesso modo

l’Outsider Art è naive e distaccata dal mondo. A parere di Thompson (2006), gli artisti di

questa corrente -fra cui Kandinsky (1866-1944), Klee (1879-1940) e Picasso (1881-

1973)- erano ispirati da una creatività simile a quella modernista: un tipo di pensiero non

conformista che dà luce a racconti e interpretazioni originali del mondo.

Tentando di posizionare gli artisti Outsider e modernisti sul continuum della creatività si

nota come risulti indispensabile aggiungere una terza tendenza all’asse A. Infatti, per

quanto riguarda l’asse B, entrambi appartengono alla creatività artistica. Analizzando

l’asse A invece l’Arte Bruta si posiziona oltre l’eminente con elevate possibilità di

possedere tendenze psicopatologiche, fra le opere non riconosciute come tali; mentre gli

artisti del Modernismo sono universalmente riconosciuti e si situano al livello della

creatività eminente.

Tab.3.2.2.1.1

La definizione dell’Outsider Art come una particolare manifestazione del modernismo

supporta il modello del continuum della creatività, specialmente nei termini della

prospettiva di Csikzentmihaly (1998): la creatività guida l’evoluzione culturale in modo

che la percezione della creatività vari e si sviluppi col tempo. L’attuale rivalutazione

dell’Outsider Art da parte dei critici è uno dei risultati di questa evoluzione.

3.2.2.2 I modelli del continuum della creatività nella letteratura

L’approccio dei sistemi dinamici di Schuldberg (2001) è una forma estrema del modello

del continuum che rappresenta una visuale più flessibile alla relazione creatività-disturbo

mentale rispetto alle prospettive precedenti.

Egli realizza un modello curvilineare in cui alla base della produzione creativa c’è il

continuum delle dimensioni cognitive e affettive.

Le fluttuazioni individuali delle differenze di personalità, nello stile cognitivo e

comportamentale sono legate, anche se in modo non lineare, con le varie dimensioni di

creatività; l’effetto finale sarà un sistema caotico dai risultati imprevedibili. Questo

sistema presenta un punto di partenza differente con effetti significativi e divergenti sullo

sviluppo e sui risultati, conducendo alla serendipità. I percorsi non sono riproducibili,

mentre fornisce la possibilità di definire uno stile riconoscibile dei prodotti creativi di un

soggetto (Ludwig, 2000). La creatività è perciò, secondo questo modello, un processo

complesso e imprevedibile, influenzato da molte variabili, che produce sempre novità e

originalità.

Sempre compatibilmente ai modelli del continuum, Simonton (2000) propone la

prospettiva darwinista sulla creatività e psicopatologia, in cui il processo creativo è

pensato analogamente alla selezione naturale.

Determinati campi della creatività, come ad esempio le scienze, hanno delle restrizioni

intrinseche nel range di variazioni di idee permesse; altri, come le arti visuali, sono meno

limitate. Inoltre, la tendenza di un individuo alla psicopatologia influenza l’estensione

delle loro variazione di idee. Simonton (2000) ipotizza che, lungo un continuum di

tendenze psicopatologiche, le discipline scientifiche abbiano un livello basso, e si

estendano dal normale di Kuhn al rivoluzionario. L’arte possiede una maggiore tendenza

ai tratti psicopatologici: la creatività artistica delle avanguardie ha livelli più alti di

gravità psicotica rispetto alla creatività artistica accademica. La proposta di Simonton

(2000) implica che i soggetti posizionati all’estremo della creatività scientifica abbiano

meno probabilità di possedere tendenze psicopatologiche rispetto all’estremo della

creatività artistica.

Tab.3.2.2.2.1 Il modello di Simonton (2000). Nel passaggio da scienza (normale - rivoluzionaria) ad

arte (accademica - avanguardia) si riscontra un aumento di tendenze psicopatologiche e di abilità

creative.

Dunque, con un incremento delle tendenze psicopatologiche, si registra

un’amplificazione della natura già non convenzionale e della genialità del lavoro

creativo. Ciò conduce le scienze dal normale al rivoluzionario e le arti dall’accademico

all’avanguardia.

Ludwig (1995) indaga l’incidenza e la natura delle condizioni psicopatologiche in un

campione di persone eminenti dei nostri giorni in numerosi campi professionali e scopre

che sono più spesso affette da malattie mentali rispetto alla popolazione normale. Per

esempio la mania è pari al 7%, mentre nella popolazione normale è dello 0.8%. Nel suo

campione gli artisti hanno una più alta incidenza di malattia mentale rispetto agli

scienziati. Questo suggerisce (Simonton, 2000) l’esistenza delle diverse interazioni fra

creatività e psicopatologia all’interno dei diversi settori. Rimane da stabilire se sia il

risultato delle differenti prerogative di ciascun settore o di una differenza intrinseca nel

processo creativo.

3.2.3 La creatività come costrutto unico

Mentre nei modelli discussi finora la creatività viene illustrata come una variabile, molti

teorici la figurano come un costrutto unico, nonostante misure e caratteristiche differenti

siano state attribuite al processo creativo e ciascuna di esse abbia generato varie

discussioni. Le differenze analizzate finora a proposito del costrutto della creatività

possono apparire come il riflesso di distinzioni superficiali, mentre secondo questo

modello esiste un unico processo cognitivo alla radice del lavoro creativo.

3.2.3.1 Nomi diversi, un costrutto

Le varie qualità utilizzate per caratterizzare la tipologia di creatività possono convergere

in un unico processo cognitivo. Il pensiero divergente è uno dei principali processi

cognitivi della creatività. L’abilità nel generare soluzioni multiple ad un problema

(Guilford, 1968) può essere valutata grazie alla capacità del soggetto di: produrre un

range di soluzioni ad un problema apparentemente senza soluzione e senza una sola

risposta corretta, per esempio identificando le varie modalità di utilizzo di un oggetto.

La creatività è anche descritta come pensiero associativo o nuova combinazione di

elementi preesistenti; più remoti sono gli elementi, più creativo può essere il processo e il

risultato [(Mednick, 1962) e (Spearman, 1931)].

Eysenck (1993) concepisce tutto questo in termini di personalità. Una persona con un

carattere associativo considererà un maggior numero di associazioni rilevanti in un

particolare compito.

Il “pensiero iperinclusivo” è un altro componente della teoria di Eysenck sul processo

creativo (1993). Gli alti punteggi nella dimensione nevroticismo (uno dei fattori del

modello tripartito della personalità di Eysenck, i mancanti sono estroversione e

introversione) correlano con le performance nei compiti del pensiero iperinclusivo,

sottolineando un’ampia abilità creativa (Cameron, 1938). Originariamente formulato per

descrivere lo stile cognitivo dei soggetti schizofrenici -e più tardi riscontrato anche nei

disturbi dell’affetto- il pensiero iperinclusivo è caratterizzato da una disfunzione in cui

pensieri irrilevanti invadono la consapevolezza ostacolando la risoluzione dei problemi.

La natura creativa del pensiero iperinclusivo è perciò molto discutibile e teorici come

Csikzentmihaly (1993) hanno affermato che sia principalmente un disturbo concettuale

debilitante piuttosto che un processo cognitivo costruttivo.

Nonostante la controversia, Andreasen e Powers (1974) trassero dei punteggi alti di

pensiero iperinclusivo dal loro campione di scrittori creativi e Griffith, Mednick,

Schulsinger e Diderichsen (1980) dimostrarono una presenza significativa di questo tipo

di pensiero nei figli dei pazienti schizofrenici, sottintendendo il fatto che sia uno stile

cognitivo legato ad una predisposizione genetica ai tratti psicotici. Il pensiero

iperinclusivo perciò implica un eccessivo e anormale accesso ai pensieri; il pensiero

divergente e i modelli associativi incorporano quest’idea basilare affermando che

l’individuo creativo formi nuove combinazioni di concetti, altrimenti separati.

Un’altra concettualizzazione della creatività è il processo cognitivo gianusiano di

Rothenberg (1983), l’abilità a considerare simultaneamente più opposti. È il primo di tre

processi che contribuiscono alla dote creativa, a cui seguono lo stadio omospaziale e

dell’articolazione che manipolano le immagini mentali gianusiane e strutturano i pensieri

in rappresentazioni organizzate. Rothenberg scoprì che i premi Nobel della scienza e un

gruppo di studenti particolarmente creativi produssero un numero superiore di

associazioni di parole opposte, tramite un test sul processo gianusiano, rispetto ad un

gruppo di studenti potenzialmente meno creativi.

La psicanalisi ci fornisce un’ulteriore descrizione della creatività. Illustrato per la prima

volta da Freud (1958), il pensiero del processo primario è un sistema primitivo di

pensiero, inconsapevole, guidato dall’istinto umano e libero da restrizioni del pensiero

formale. È caratterizzato da fluidità di pensiero, flessibilità nella ricerca di idee e

associazioni e pensiero divergente. Kris (1952) affermò che la creatività nasce dall’abilità

a regredire e attingere al pensiero del processo primario mettendolo in relazione al

pensiero del processo secondario, più maturo e razionale. I deficit attentivi conducono a

questo tipo di processo (Russ, 2001). Russ (1987) concettualizza il pensiero del processo

primario come un sottocluster affettivo nel quadro cognitivo. In questo modo, diversi

disturbi interagiscono con il pensiero del processo primario in modi differenti. La

schizofrenia coinvolge gli aspetti cognitivi del pensiero del processo primario, mentre i

disturbi dell’umore sfruttano quelli affettivi. La malattia mentale, quindi, interagisce in

modo differenziato con un singolo nucleo creativo che produce risultati creativi diversi.

La teoria sulla creatività di Martindale (1989, 1995, 1999) è complementare al pensiero

del processo primario. Secondo l’autore la creatività deriva dalle oscillazioni fra i due

poli di un continuum. Il primo polo riguarda le associazioni libere e analogiche e il

pensiero irrazionale; è caratterizzato da deficit attentivi, arousal corticale ridotto e da

insight creativi. L’altro polo presenta un pensiero logico e orientato alla realtà, attenzione

elevata, livelli elevati di arousal corticale e idee creative. La creatività perciò è formata

dalle fluttuazioni del focus attentivo, tipo di pensiero e livello di attivazione corticale. Il

profilo del disturbo bipolare è parallelo a questo dal momento che l’individuo creativo ha

degli insight maniacali, mentre le fasi depressive più moderate consentono di sviluppare

insight che si manifestano in prodotti/sintomi con un certo significato (Jamison, 1993).

Inoltre, il cambiamento di stato dell’arousal corticale va di pari passo con il pensiero del

processo primario e il processo creativo gianusiano. Lo spostamento fra stati corticali

differenti permette il raggiungimento del processo gianusiano, fornendo diversi

atteggiamenti mentali e rappresentazioni simultaneamente. Invece, il polo delle libere

associazioni e del pensiero irrazionale si può comparare al pensiero del processo

primario.

Questi processi possono anche essere visti come fondati dai modelli associativi e dal

pensiero divergente. Il cambiamento degli stati fisiologici descritto da Martindale (1989)

conduce al pensiero del processo primario, il quale a sua volta facilita il pensiero

divergente. Invece il processo gianusiano può essere concepito come un componente del

pensiero divergente e dei modelli associativi della creatività.

Per questo motivo è possibile definire un singolo costrutto creativo.

Questa recente scoperta dimostra l’eziologia genetica e fisiologica del processo creativo,

in particolare a livello dei recettori della dopamina e della serotonina del sistema nervoso

centrale (Martindale, 2000) che insieme formano un singolo processo neurale, sottostante

alla creatività.

3.2.3.2 Un processo unico per diverse malattie mentali ed ambiti creativi

Sicuramente i diversi termini per parlare del costrutto della creatività si riferiscono tutti

ad una singola entità, ma il processo creativo è lo stesso nelle scienze e negli ambiti

artistici? Claridge (1993) risponde positivamente, dichiarando che però le particolari

richieste di ogni settore creativo conducono a manifestazioni creative differenti. Le arti

danno vita alla libertà di esplorazione delle associazioni cognitive; mentre le scienze,

guidate dall’osservazione empirica e oggettiva, impongono limitazioni maggiori.

Dunque, sebbene pattern specifici dei tratti psicotici medino il processo creativo in

ciascun ambito, l’abilità sottostante è la stessa.

Il processo gianusiano di Rothenberg (2000) è altrettanto compatibile con un unico

costrutto di creatività che accomuna tutti i settori creativi.

Il processo gianusiano e quello omospaziale, parte dello stesso nucleo creativo, danno

luogo a diversi tipi di ragionamento, ognuno dei quali porterà poi risultati particolari. Il

processo gianusiano conduce ad un tipo di ragionamento analogico particolarmente

rilevante per le arti. Similarmente la creatività scientifica è tipica del ragionamento che

deriva dal processo omospaziale e permette rappresentazioni figurate e astratte

provenienti dalla concezione attiva delle entità discrete che occupano quello stesso

spazio.

La distinzione fra la creatività quotidiana e quella eminente implica anch’essa un unico

costrutto creativo. Sebbene Richards (1993) distinguesse le due forme di creatività, notò

delle caratteristiche condivise e quindi una radice creativa unitaria, differenziandosi solo

per il livello cognitivo.

Un singolo nucleo creativo può esistere anche fra diversi tipi di psicopatologia. Come

precedentemente sottolineato, sia la schizofrenia che i disturbi affettivi facilitano la

creazione di prodotti creativi differenti. Le variazioni nella manifestazione della creatività

dipendono dalla predisposizione dell’individuo a determinate psicopatologie; ma il

processo creativo in sé, che include il pensiero divergente e associativo, è il medesimo

qualunque sia la malattia mentale.

3.3 Prospettive psicologiche evolutive

Al fine di assicurare la validità dei tre modelli proposti sul costrutto della creatività,

questi ultimi devono essere compatibili con le teorie evoluzionistiche, le quali

definiscono lo scopo dell’associazione creatività/psicopatologia.

I teorici della psicologia evoluzionistica affermano che dal momento in cui la

psicopatologia possiede una componente genetica, la sua costante e debilitante presenza

all’interno della nostra società debba essere controbilanciata da un vantaggio

compensatorio associato (Huxley, Mayr, Osomond e Hoffer, 1964). Ispirati alle teorie di

Huxley e coll. (1964) e Miller (2001) sul talento artistico e sulla selezione sessuale, O’

Reilly, Dunbar, e Bentall (2001) suggeriscono che il vantaggio compensatorio della

schizofrenia sia il tratto dell’abilità creativa. La creatività è un’incarnazione dell’abilità

intellettiva dell’homo sapiens, capacità di sfruttare i processi cognitivi, estetici e

l’empatia al fine di condurlo verso un’evoluzione culturale (Csikzentmihaly, 1998). La

creatività perciò delinea il livello di sviluppo di un soggetto, potenziando le capacità

competitive di riprodursi all’interno della specie e di sfruttare al meglio le opportunità

che offre la società. Nonostante le teorie evoluzionistiche sulla riproduzione, le analisi

genetiche di Crespi, Summers e Dorus (2007) evidenziano l’ associazione degli stessi

geni legati alla schizofrenia con la creatività e le capacità immaginative nella popolazione

normodotata (Reuter, Roth, Holve e Hennig, 2006).

La psicologia evoluzionistica indica la creatività come costrutto singolo. Per esempio,

nonostante Nettle (2001) distingua due assi psicopatologici (quello schizotipico che

sfrutta il pensiero divergente e quello timotipico dei disturbi affettivi che sfrutta l’umore

al fine della creatività), questi ultimi sono legati ad un unico tipo di processo creativo. La

posizione evoluzionistica è dunque compatibile con gli altri modelli dell’associazione

creatività/psicopatologia.

È possibile che i diversi tipi di creatività siano sessualmente determinati, fornendo

vantaggi compensatori distinti dal punto di vista del tipo di abilità cognitiva.

Probabilmente la creatività nelle arti, legata ai disturbi affettivi, è l’espressione di una

società fortemente sviluppata, e porta con sé un’ampia sensibilità alla natura umana,

un’elevata abilità nel riconoscere e manifestare gli stati emotivi. Di contro una capacità

rilevante nella risoluzione dei problemi e nel risultare originale, come quella degli

scienziati, è il riflesso della creatività schizotipica che include un sofisticato sviluppo a

livello cerebrale, soprattutto a livello prefrontale.

Baron-Cohen, Tager-Flusberg e Cohen (2000) sottolineano come senza queste sofisticate

capacità l’homo sapiens sarebbe ancora preistorico. I suoi vantaggi compensatori, infatti,

controbilanciano le patologie esistenti, anche a costo della vita dell’uomo, ma a beneficio

dell’intera società umana.

3.4 Conclusione

I teorici della creatività hanno fallito nel compito di creare un’unica definizione di

creatività che aiuterebbe con maggior chiarezza ad associare il costrutto in esame ai

diversi tipi di psicopatologia. Allo stesso tempo si può affermare che i tre modelli sopra

esposti siano ugualmente plausibili e supportati dalla ricerca scientifica.

Nonostante ciò, dal momento in cui abbiamo dimostrato l’esistenza di diversi tipi di

creatività e che siano legati alle diverse forme di psicopatologia, è possibile ora

implementare trattamenti terapeutici per i pazienti, che tengano conto di quanto scoperto.

Inoltre, i tre modelli offrono trampolini di lancio e strategie ben definite da cui partire per

la ricerca futura. In particolare, per quanto riguarda il primo modello esposto un tipo di

studio che si potrebbe svolgere prevede la creazione e somministrazione di test per

cogliere gli stili cognitivi di ciascuna psicopatologia, determinandone la specificità.

Viceversa, il modello dimensionale potrebbe essere nuovamente confermato dai punteggi

attribuiti ai test sulla creatività da soggetti creativi di tipo eminente o quotidiano.

L’ultimo modello, per esempio, risulterebbe ancora più veritiero verificando la

controparte neurale del processo creativo in tutti i soggetti creativi eminenti. Comunque

la concettualizzazione della creatività come singolo costrutto potrebbe essere troppo

semplicistica. Come notarono Blackeslee e Ramachandran (1998), gli insight più creativi

-come per esempio quelli presenti nelle poesie di Shakespeare- provengono da qualcosa

di realistico e semplice piuttosto che da mere associazioni di idee. La creatività è in parte

ancora un mistero per noi e forse non sarà mai dimostrata scientificamente fino in fondo.

 

4 LA FLUENTE ESPRESSIONE DELLA CREATIVITA’ E LE SOSTANZE

PSICOTROPE

In questo capitolo verranno analizzate le condizioni per cui è possibile far derivare

l’abilità creativa dall’uso di sostanze psicofarmacologiche, assunte dai pazienti tourettiani

a fine terapeutico, piuttosto che da una predisposizione personale. In parallelo sono

descritti anche gli effetti degli stupefacenti sul talento artistico.

4.1 Stato della coscienza e creatività

Anni di studi condotti da Sir John C. Eccles - premio Nobel per la neurofisiologia -

portarono lo scienziato a concludere che il cervello funziona come strumento della mente.

Allo stesso esito sono pervenuti C.G. Jung, R. Assagioli, R. Gerber, nonché gli psichiatri

R. Moody e B. Weiss, per citare soltanto alcuni dei ricercatori che sostengono tesi

contrarie a quelle espresse dalla neurofisiologia dominante.

Spesso nell’analisi della seguente diatriba, si è sfociati in opposti estremismi, da una

parte coloro che vedono la base della mente solo nella intricata interconnessione

neuronale (R. L. Montalcini), dall’altra coloro che vedono la mente oltre il cervello, ma

ad esso strettamente collegata (J. C. Eccles).

In realtà un’attività psichica superiore non può pensarsi senza l’esistenza della

autoconsapevolezza, quindi coscienza di sè riflessiva (Socrate); della coscienza,

intendendosi per questa la minima struttura di un “io” che riconosce se stesso diverso

dall’altro da sé (Jung), e che è in grado di esercitare un minimo di controllo su di sé

(Brentano).

Questo nucleo di coscienza è riconosciuta anche nella psiche degli animali superiori;

l’essere umano è però l’unico ad avere una rappresentazione in più: la capacità creativa e

critica che ha reso possibile l’evoluzione della specie.

Distinguiamo quindi un io soggettivo di marca puramente neuropsicologica, da un io

cosciente creativo e critico.

La stragrande maggioranza dell’attività mentale umana è di tipo conservativo biologico,

tesa cioè alla difesa dell’io soggettivo dalle aggressioni esterne. Tale attività è quasi

completamente coordinata dalla mente biologica-neuronale. Le attività superiori invece,

in particolare il pensiero critico e creativo, sono appannaggio dell’io cosciente, struttura

che oltrepassa la mente biologica, ma come più avanti esposto, ad essa strettamente

interconnessa.

Benjamin Libet della California University, ha scoperto che il cervello impiega 500

millisecondi per elaborare la realtà in modo conscio, mentre gli bastano 150 millisecondi

per l’individuazione sensoriale senza consapevolezza, cioè per vedere cose che saranno

ritenute non interessanti e pertanto non verranno registrate dalla coscienza.

Il processo di assunzione della coscienza crea quindi un lievissimo ed impercettibile

ritardo tra quello che vediamo e sentiamo, e quello che sappiamo di aver visto e sentito.

Cosa avviene in questo lasso di tempo?

Secondo Rodolfo Llinas, direttore del Dipartimento di Fisiologia e Biofisica della New

York University, entrano nella consapevolezza solo le informazioni che le cellule nervose

corticali ritrasmettono al talamo in modo sincrono, sintonizzandosi tutte sulla stessa

frequenza d’onda: una modulazione intorno ai 40 Hertz. Il brusio continuo delle altre

cellule, trasmesso su altre lunghezze d’onda, resta invece escluso dalla coscienza.

Secondo Llinas la raccolta di queste informazioni è fatta da un anello di cellule, il nucleo

intralaminare del talamo. Qui ha origine una serie d’impulsi nervosi che compie il giro

completo del cervello ogni 12,5 millisecondi. Ogni giro esplica il reclutamento di tutte le

informazioni che, presenti nelle diverse aree specializzate del cervello (corteccia visiva,

sensitiva, uditiva, ecc.), sono sincronizzate dalla mente sulla stessa lunghezza d’onda (40

Hertz).

La coscienza quindi non è un luogo fisico, ma una frequenza, che accorda le diverse

oscillazioni-sensazioni tra loro.

Ma se la mente come fonte di riflessione critica e creativa non è identificabile con il

cervello biologico, che rapporto c’è tra la mente e il cervello, visto che sia l’io soggettivobiologico,

che l’io cosciente-creativo, usano nella vita di tutti i giorni il cervello per

interagire con il mondo esterno?

La modalità più semplice per rispondere a questa domanda è il paragone con il computer.

Il cervello con la sua struttura organico-biologica è assimilabile all’hardware di un

calcolatore, in cui si immettono i dati provenienti dagli organi di senso e dal mesenchima,

ed in cui, il frutto dell’elaborazione della mente, viene tradotto in fisicità, per l’output

finale. La mente, in realtà, è invece il programma di elaborazione dati interposto al

terminale-cervello, è cioè l’unità centrale-elettromagnetica dell’intero calcolatore

(software).

Lo stato di salute dell’individuo è può essere mantenuto solo con un’enorme dispendio

energetico, con la formazione di “strutture dissipative (clusters)” lontane dall’equilibrio

termodinamico, in un sistema aperto.

E’ necessario un flusso d'informazioni costante per rendere possibile l’altissimo grado di

ordine dinamico dei tessuti (negentropia) di circa 1018 reazioni metaboliche

nell’organismo al secondo, che richiedono un trasferimento veloce e preciso

d'informazioni nell’intero organismo.

Secondo il biofisico Popp, nessuna molecola, enzima, ormone o neurotrasmettitore è in

grado di fare ciò, solo i fotoni sono in grado di garantire questo coordinamento in

maniera ordinata, ultraveloce ed olografica.

La materia è quindi - in accordo anche al pensiero di Rubbia (Premio Nobel 1984) -

subordinata a processi energetici di natura elettromagnetica, che gestiscono in tempo

reale lo stato di organizzazione dei tessuti. Tale coordinamento è impensabile da

raggiungere nell’intero organismo, tramite la sola rete neuronale.

Possiamo quindi ragionevolmente supporre che accanto ad un cervello neuronale, esista

un cervello elettromagnetico (psiche), in grado di elaborare informazioni con una velocità

e sensibilità estremamente superiore al cervello biologico. In tale struttura

elettromagnetica convive sia l’io biologico, che l’io superiore, cioè l’io creativoriflessivo.

Tale struttura (psiche) per esprimersi nel modo materiale, utilizza il cervello biologico

neuronale e da esso ne ricava percezioni e sensazioni, che poi elabora e traduce in

coscienza, senso della vita e dell’essere, nonché in strategie di superamento e

trascendenza di tutto ciò.

Ogni mutamento di carattere somatico influenza tale struttura elettromagnetica che

definiamo “psiche”, così come uno stress nella struttura psico-elettromagnetica si

tradurrà, attraverso la mediazione del cervello biologico-neuroendocrino, sull’intero

organismo.

Il rapporto tra mente e corpo è così stretto, diretto ed immediato, che uno shock psichico

produce contemporaneamente una perturbazione nella mente elettromagnetica (software),

una perturbazione nel cervello (hardware), ed una perturbazione nell’organo periferico,

da quella zona encefalica controllata.

Allo stesso modo un disturbo iniziato a livello periferico (organo), genera una

perturbazione funzionale sia sull’hardware centrale (cervello), che sul software

elettromagnetico (psiche).

Movimenti impercettibili di masse microscopiche -che costituiscono i microtubuli delle

cellule- sarebbero responsabili -secondo R. Penrose dell’Oxford-University- di

quest’attività quantistica, integrata e risuonante.

Altre strutture oscillatorie presenti nel mesenchima interstiziale, nella glia cerebrale, e

nell’acqua semicristallina dell’intero organismo, mediano - secondo H. Heine, E. Del

Giudice, J. Benveniste, ed altri - questa comunicazione.

Se mente e corpo sono quindi così strettamente interconessi, fattori psichici possono

scatenare malattie somatiche, ma anche intossicazioni croniche a carico di organi

periferici o della matrice interstiziale del cervello possono acuire o generare disturbi

psicologici.

In conclusione, non può esserci infatti vera guarigione se non si comprende prima il

senso profondo della propria sofferenza; non può esserci vera guarigione se non si

trascende se stessi e l’equilibrio esistenziale prima strutturato.

Spesso gli psicofarmaci, mal utilizzati, impediscono la presa di coscienza delle vere

problematiche a monte della malattia, problematiche ben più ampie di quanto il

riduzionismo farmacologico imperante ci voglia imporre.

Un cambiamento di paradigma in psichiatria è da anni rincorso, con vicende alterne.

Una visione olistica del problema, dove i fattori psicologici, sociali, antropologici,

spirituali e culturali, si fondono, nella genesi e cura dei disturbi psichici - in maniera

circolare - con il ruolo dell’alimentazione, della tossicità ambientale e della iatrogenesi

farmacologica laddove documentata, è ad oggi un modo di procedere ottimale.

Da tale nuovo paradigma scaturirebbe un appropriato utilizzo degli psicofarmaci,

riservato alle condizioni di contenimento del disagio mentale, non diversamente

trattabile.

Lo psicofarmaco è una terapia sostitutiva, e per definizione le terapie sostitutive sono

indicate per sostituirsi al biochimismo interno quando insufficiente, non certo per

stimolarlo.

Altre possono essere le modalità di disintossicare il cervello, l’intestino (secondo

cervello) e gli altri organi connessi al metabolismo cerebrale; altre possono essere le

misure per intervenire sui buchi metabolici (niacina, triptofano, ecc.) o per stimolare il

ripristino di un’omeostasi perturbata.

Non nego l’importanza degli psicofarmaci che hanno liberato dalla sofferenza malati

incurabili, ma sono da riservare ai casi indispensabili; esistono infatti alternative

terapeutiche complementari che vanno valorizzate nel rispetto delle indicazioni

dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Tutta la vita psichica passa sempre attraverso la mente biologica (hardware), ma dietro di

questa c’è la mente superiore (software), che si alimenta attraverso il contatto con il sè e

porta l’ io a trascendere gli schemi fissi e rigidi del determinismo biologico, per

approdare al pensiero critico e creativo.

4.2 Stupefacenti e psicofarmaci: verso una biochimica della creatività

“È il mondo all’interno del tuo animo che tu cerchi. Solo all’interno di te esiste la realtà

che cerchi. Io non posso darti nulla che non sia già all’interno di te stesso. Io non posso

aprirti nessuna galleria di immagini, solo il tuo animo.

Tutto quel che posso darti è l’opportunità, l’impulso, la chiave. Posso aiutarti a renderti

il tuo mondo visibile. Tutto lì”.

Herman Hesse, Steppenwolf, 1957.

La creatività artistica è una delle più alte manifestazioni delle capacità cognitive

dell’uomo. La relazione fra sostanze in grado di modificare lo stato di coscienza, la loro

assunzione e l’espressione della creatività è stata quindi un argomento di grande interesse

nel corso dei secoli. L’interesse nel dibattito sulla relazione fra stupefacenti e creatività

artistica si è recentemente rivitalizzato sulla base delle nuove conoscenze degli effetti

delle droghe su specifiche strutture del sistema nervoso centrale e delle relative

interazioni a livello molecolare.

In effetti l’uso di varie sostanze psicoattive come mezzo per aumentare la creatività

artistica ha una lunga storia. Alcune sculture ritrovate in America Centrale fanno ritenere

che già nel 1500 A.C. l’uso di funghi allucinogeni da parte dell’artista era considerato un

mezzo per ricevere un’ispirazione divina e molti dei dipinti rupestri delle prime

popolazioni indiane del Sud-Ovest degli Stati Uniti sono state attribuite all’uso di

sostanze cosiddette psichedeliche. In tempi a noi più vicini sono stati i poeti romantici

dell’inizio dell’Ottocento a narrare per primi le loro esperienze introspettive sotto

l’influenza di varie droghe e gli orientamenti di varie correnti artistiche negli anni ’60 e

’70 hanno portato alla ribalta l’uso delle droghe e la loro influenza sulle capacità

artistiche e creative. Il grande scrittore Aldous Huxley ha persino sostenuto che l’arte del

ventesimo secolo sarà ricordata per l’impatto e le conseguenze che su di essa hanno avuto

i farmaci allucinogeni.

L’interesse per le droghe come mezzo di facilitazione delle capacità creative

dell’individuo deriva principalmente dalla pletora di osservazioni da parte di artisti che

hanno percepito un miglioramento nelle loro capacità creative a seguito dell’uso di varie

droghe, fra cui la dietilammide dell’acido lisergico (LSD), i cannabiniodi e varie sostanze

allucinogene di origine naturale fra cui psilocibina e mescalina. L’analisi oggettiva di

queste osservazioni soggettive non è però facile ed è necessaria un’attenta osservazione

sistematica e controllata per valutare se e come l’assunzione di alcune sostanze

rappresenti realmente un mezzo per aumentare la creatività e l’introspezione estetica e in

che modo questi elementi si riflettano sulla qualità della produzione artistica.

4.2.1 Stupefacenti, psicofarmaci e creatività artistica: un’analisi sistematica

Cercare di catturare gli sfuggenti elementi che nel loro insieme costituiscono un atto

creativo è sicuramente opera ardua. Una serie di studi ha tuttavia cercato di affrontare il

problema da diverse prospettive usando i mezzi della neuropsicologia. Test psicometrici

oggettivi di valutazione fra i quali il test di Rorschach, il test di creatività di Purdue, il

test di visualizzazione oggettiva di Miller, il test delle figure celate di Witkin, il test di

associazione verbale e il test di personalità multifasico del Minnesota (MMPI) sono stati

adoperati in condizioni sperimentali controllate su artisti professionisti, soggetti con

capacità artistiche, e soggetti di controllo.

L’insieme di questi studi, svolto da diversi gruppi di ricercatori nel corso degli ultimi

decenni, rappresenta un primo ed importante tentativo di caratterizzazione degli effetti

delle droghe, soprattutto farmaci con effetti allucinogeni, su diverse componenti

dimensionali della creatività artistica.

Nonostante gli approcci molto diversi fra loro, un’essenziale concordanza di conclusioni

è emersa dai risultati delle diverse ricerche. Sorprendentemente, l’ipotesi che l’uso di

droghe sia per sé un mezzo semplice ed aspecifico di facilitazione della creatività artistica

non ha retto all’attento scrutinio scientifico.

Il primo elemento di consenso è costituito dall’osservazione che l’uso di queste droghe,

in genere LSD, psilocibina, mescalina o cannabinoidi dopo somministrazione acuta o

subcronica, produce un’intensificazione dei tratti preesistenti di personalità e della

capacità di esperienza soggettiva estetica, entrambi misurati dai test psicometrici, ma ciò

non si accompagna direttamente ed automaticamente ad un aumento o ad un

miglioramento della produttività artistica. Infatti nelle ricerche in cui le opere degli artisti

sono state valutata in maniera oggettiva, i critici d’arte di riferimento hanno in genere

considerato la qualità della produzione degli artisti simile all’opera svolta in assenza di

droga. Analogamente, gli studi psicometrici che hanno analizzato scale specifiche di

valutazione della performance creativa (test di associazione remota, di immaginazione, di

originalità e di pensiero divergente) non hanno riscontrato differenze prima e dopo

l’assunzione degli stupefacenti.

In questo senso l’esperienza farmacologica sembra rimanere un fenomeno passivo,

mentre l’atto creativo è una esperienza attiva che non sembra essere direttamente ed

automaticamente influenzata dalla droga.

É molto interessante, invece l’osservazione degli effetti di farmaci, come l’LSD, di

indurre un’aumentata capacità di risoluzione creativa di problemi complessi. Ciò si

verifica tuttavia soltanto in condizioni fortemente strutturate, cioè a seguito di una

procedura preparatoria psicodinamica e in un ambiente psicosociale fortemente orientato

al test in questione. Questo è anche in accordo con prove aneddotiche di aumento, indotto

da LSD, della capacità di superare in maniera creativa alcune specifiche difficoltà

tecniche professionali da parte di professionisti come architetti, generali o scienziati.

Queste ricerche sembrano quindi avere identificato gli elementi essenziali che

influenzano gli effetti dell’esposizione a LSD, psilocibina o mescalina. In particolare

sono il contesto ambientale (funzione di contenimento) e psicodinamico (stato umorale

stabile precedente l’assunzione), la preparazione e le aspettative del soggetto e la

preesistente personalità (stabilità nel tono dell’umore) a rappresentare le variabili

principali che determinano l’effetto dei questi farmaci.

Quindi nonostante una forte sensazione oggettiva di creatività accompagni

invariabilmente le esperienze farmacologiche, questa non si riflette in un generale

effettivo miglioramento delle capacità artistico-creative del soggetto.

Tuttavia se questi farmaci vengono assunti da un soggetto dotato di preesistenti

particolari doti artistiche e ferme restando le altre caratteristiche sopra citate, allora lo

stato di alterata percezione della realtà può generare una inusuale esperienza esteticointrospettiva.

Le esperienze sensoriali dell’artista sotto l’effetto di LSD o sostanze simili, infatti,

combinate con il preesistente substrato cognitivo-emotivo sono in grado di generare

insolite immagini che un artista puo’ occasionalmente, quindi non invariabilmente,

trasformare in un prodotto di notevole valore estetico-artistico.

L’importanza delle ricerche condotte nel corso degli ultimi decenni ha quindi fornito

prove sperimentali controllate che mettono in dubbio la potenziale capacità di questi

composti di aumentare direttamente ed automaticamente la creatività artistica in maniera

aspecifica, vale a dire in tutti i soggetti e in tutte le condizioni ambientali e

psicodinamiche.

L’alterazione dei meccanismi cognitivi di elaborazione dell’informazione prodotta

dall’esposizone alla droga, invece, sembra facilitare specificamente alcune componenti

della creatività che occasionalmente, sia in alcune categorie di soggetti cui è richiesta una

creativa risoluzione di problemi sia nell’artista, può condurre a migliori performance.

4.2.2 Stupefacenti, psicopatologie e creatività

Fig 4.2.2.1 E. Munch, Il grido, 1893

Fig.4.2.2.2 E. Hemingway (1899-1961)

Il cammino verso l’analisi scientifica della creatività pone immediatamente il quesito dei

substrati neuronali della creatività stessa. In che modo la conoscenza dei meccanismi

molecolari dell’azione delle droghe può spiegarci le modalità attraverso cui queste

esercitano i loro effetti sulle capacità artistiche e creative seppur nei limiti che le ricerche

ci hanno indicato?

La maggior parte delle conoscenze sul meccanismo d’azione dei farmaci d’abuso

proviene da ricerche sugli animali. Infatti sia i piccoli roditori che specie a noi più vicine

come i primati hanno un comportamento di ricerca della droga e un pattern di consumo

analoghi a quello della nostra specie. Ciò indica che esiste sicuramente un substrato

neuronale che alcune classi farmacologiche di sostanze, i farmaci da abuso, sono in grado

di modificare e il cui risultato è la focalizzazione dell’attività dell’individuo verso la

ricerca della droga, con conseguente perdita di controllo sull’uso, manifestazione cardine

della tossicodipendenza.

Tuttavia, le aree cerebrali e le componenti neurochimiche che portano all’abuso sono

probabilmente distinte dal substrato anatomo-funzionale coinvolto nella creatività e sul

quale le droghe sembrano avere un effetto. E purtroppo in questo senso la ricerca sugli

animali non ci è d’aiuto in quanto le capacità creative sono proprie della specie umana e

non sono mai state riscontrate nell’animale chiare manifestazioni di comportamenti,

anche specie-specifici, assimilabili alla creatività artistica.

Un aiuto importante ci viene fornito invece dall’indagine psichiatrica. Esiste infatti

sostiene l’ipotesi che vi sia un legame fra creatività artistica e malattia mentale.

Poiché sono state avanzate alcune ipotesi sulle basi neurochimiche delle malattie

psichiatriche associate alla creatività artistica e poiché conosciamo gli effetti delle droghe

sul decorso clinico di queste patologie, allora è realistico ritenere che la malattia mentale

possa costituire un mezzo per fornire indicazioni ed ipotesi di lavoro sulle modalità

attraverso cui le droghe influenzano la creatività.

Da Aristotele ai nostri tempi, passando attraverso Shakespeare, l’idea che l’arte fosse

invariabilmente associata al genio e alla malattia mentale ha pervaso e affascinato la

credenza popolare.

Sicuramente molti personaggi illustri della storia dell’arte compresi Van Gogh,

Ciaikovski, Hemingway, V. Wolf e C. Bronte, ritenuti affetti da gravi malattie

psichiatriche, hanno corroborato questa ipotesi. Sebbene anche in questo caso una recente

indagine scientifica sistematica ha portato alla luce che esiste forse solo una debole

associazione fra malattia psichiatrica e creatività artistica, ciò nonostante, la conoscenza

della natura di alcune sindromi psichiatriche associate ad un aumento della creatività

artistica ha fornito importanti informazioni per successive indagini.

A questo proposito è eloquente l’esempio delle sindromi maniacodepressive o delle

sindromi ipomaniacali, durante il corso delle quali un aumento della produttività in alcuni

individui è stato chiaramente dimostrato. Alcune forme di schizofrenia sono anch’esse

state associate ad una prolifica attività artistica. Diventa allora rilevante l’osservazione

che specifiche sostanze d’abuso fra cui LSD, i cannabinoidi, l’amfetamina ed alcuni

derivati (ad esempio, l’ecstasy), oltre ad aumentare la creatività artistica in alcuni

individui in particolari condizioni, come abbiamo discusso, siano anche dei potenti fattori

precipitanti le sindromi psichiatriche associate alla creatività. È quindi possibile che un

substrato comune possa legare queste droghe, i loro effetti su alcune malattie

psichiatriche, la malattia stessa e la creatività artistica.

Quali siano le molecole coinvolte non è purtroppo possibile affermarlo. Tuttavia

l’osservazione che l’amfetamina sia un potente stimolatore dei sistemi noradrenergici e

dopaminergici sia a livello della corteccia cerebrale che a livello del sistema limbico

dell’affettività, che l’ecstasy possieda oltre agli effetti stimolanti anche un effetto

neurotossico sui neuroni serotoninergici e che l’LSD modifichi significativamente la

neurotrasmissione serotoninergica indica che l’azione di queste droghe sui sistemi

monoaminergici possa svolgere un ruolo di rilievo. Questa osservazione è corroborata

dall’ipotesi che disfunzioni dei sistemi dopaminergici, serotoninergici e noradrenergici

siano alla base delle complesse manifestazioni patologiche, comprese le manifestazioni

cognitive, di schizofrenia, mania e depressione.

In definitiva l’attento scrutinio cui la comunità scientifica ha sottoposto recentemente le

credenze popolari dell’influsso delle droghe sulla creatività artistica e dei rapporti fra

creatività artistica e malattia mentale ha contribuito a confutare che la creatività artistica

sia invariabilmente influenzata da droga o da malattia mentale. Invece è proprio il

restringimento dell’analisi a specifiche, selettive e limitate interazioni fra droga e

creatività oppure fra malattia mentale e creatività che potrà forse in futuro gettare le basi

per una analisi scientifica rigorosa delle basi neuronali e della biochimica della creatività

artistica.

4.3 Conclusione: la terapia della creatività

“Anticamente visse in Argo un tale,

di sangue non ignobile, che, stando

in un teatro vuoto, persuaso

di ascoltare gli attori, applaudiva;

quanto al resto, attendeva normalmente

ai suoi doveri: buon vicino, amabile

ospite, dolce con la moglie e tale

da perdonare il servo e non sgridarlo

se aveva manomesso una bottiglia,

e scansava i dirupi e i pozzi aperti.

Bene, ristabilito per le cure

dei familiari, vinta la pazzia

con genuino ellèboro, tornato

in sé, gridò: “M’avete, per Pollùce,

ucciso, non guarito, quando tolta

m’è, col piacere, ogni grata illusione”.

Orazio ha anticipato di 2000 anni i problemi della psichiatria moderna e ci ha insegnato

che: L’obiettivo degli psicoterapeuti, psicologi clinici, neurologi e psichiatri non deve essere

quello di eliminare un sintomo, correggere un comportamento, costringere le persone ad

uniformarsi alla massa, a vedere o sentire solo quello che vedono e sentono gli altri.

Tuttavia lo scopo di questi professionisti deve essere il benessere, la libera espressione di

sé, una relazione creativa col mondo, lo sviluppo della capacità di sentire e vedere il

positivo anche là dove gli altri non ci riescono. Spesso è più efficace la creatività della

persona e un contesto creativo come il teatro, persino vuoto, piuttosto che un intervento

psichiatrico.

In ogni modo una terapia deve comportare necessariamente la liberazione e la

valorizzazione del potenziale creativo, sia del terapeuta che del paziente.

 

5 LA CREATIVITA’ COME TECNICA RIABILITATIVA NEI PAZIENTI TS

5.1 Introduzione

Nel caso in cui fossero presenti dei tratti creativi nel soggetto in questione la

riabilitazione di tipo artistico avrebbe lo scopo di consolidare le doti del paziente e, nel

caso della sindrome di Tourette, di incanalare l’eccesso di energia e attivazione corporea

in un prodotto creativo. Se invece non esistesse nella personalità del paziente questo

genere di predisposizione, le attività espressive sono in grado di sviluppare potenzialità

creative.

5.2 Le attività espressive

Per Arti Terapie si intende un insieme di metodiche finalizzate al benessere individuale e

collettivo da utilizzarsi in ambiti diversi come quello formativo, riabilitativo,

socializzante, preventivo, terapeutico e della facilitazione delle interazioni culturali e che,

pur potendo avere come riferimento teorico aree concettuali diverse come la

psicofisiologia, la psicoanalisi, l'antropologia culturale, le teorie sistemico-relazionali,

ecc., prevedano nella loro prassi l'uso sistematico di tecniche espressive che per

consolidata tradizione culturale definiamo come "artistiche".

Le attività espressive sono tecniche di intervento in cui il medium della relazione non è la

parola, ma la forma artistica fra cui: l’arte visiva, la musica, la danza e il teatro.

La terapia espressiva è frequentemente applicata in ospedali o day hospital psichiatrici,

centri diurni, comunità, scuole. Queste tecniche possono essere di gruppo o individuali e

possono essere utilizzate con finalità psicoterapeutiche, ma anche in programmi

riabilitativi.

È rilevabile, infatti, l’utilità dell’arte terapia anche in campo educativo perché può fornire

una dimensione introspettiva che a volte manca nell’educazione, la quale tende a

valorizzare quasi esclusivamente le abilità cognitive.

Le attività espressive possono essere utili agli insegnanti per valutare in modo globale gli

studenti, oltre che per migliorare la comunicazione e la socializzazione in classe.

Il gruppo rappresenta una situazione privilegiata in quanto, anche se la produzione

artistica resta un’esperienza individuale, permette in ogni modo una sorta di condivisione

e conduce alla sensazione di conoscersi ed essere conosciuti profondamente dagli altri.

L’estrema flessibilità delle tecniche e la loro adattabilità a contesti diversi è uno dei

motivi della diffusione dell’arteterapia.

Tuttavia esistono una serie di limiti che andrebbero affrontati dagli specialisti, quali la

mancanza di criteri comuni per la valutazione dei prodotti finali e la costruzione dei

gruppi di pazienti che avvengono per lo più in modo aspecifico in mancanza di criteri

oggettivi.

5.3 La preparazione dell’intervento di arteterapia

A fronte di queste limitazioni verranno descritte in modalità schematica le principali

tappe di preparazione al laboratorio creativo, indispensabili per la buona riuscita

terapeutica (Warren,1995).

Prima di cominciare a lavorare con il gruppo, è molto importante chiarire le condizioni

dell’intervento. Innanzitutto risulta fondamentale chiedersi:

- Chi sono le persone con cui lavorerò?

Bisogna perciò definire il tipo di professionalità richiesta (assistenti sociali, educatori,

psicologo, psicoterapeuta, arteterapeuta, medici) a partire dalle specifiche caratteristiche

del gruppo di soggetto coinvolti (numero membri, età, eventuali disabilità fisico-mentali

presenti, attitudini).

- Cosa ci si aspetta che io raggiunga?

La prima seduta deve essere sempre semplice e non impegnativa, caratterizzata da attività

di facile apprendimento da parte del gruppo, utilizzate a misurarne le potenzialità; senza

dimenticare che le abilità e le doti di un soggetto possono rimanere latenti per molto

tempo ed emergere solo quando viene coinvolto in una particolare attività. È per questo

motivo che è molto importante che le attività della seduta siano in primo luogo divertenti,

fattore di motivazione essenziale per permettere alle persone di superare le proprie

limitazioni. Molto spesso, lavorando con il processo creativo, i partecipanti faranno

qualcosa che non soltanto era da loro inaspettato, ma che va anche al di là delle capacità

manifestate in precedenza. Quando ci si domanda “con chi sto lavorando?” si riuscirà

gradualmente a rispondere ad alcune domande relative al “come” dell’intervento.

Tuttavia è indispensabile sapere perché state lavorando con quel gruppo e cosa il

supervisore si aspetti da voi e dal gruppo. A queste domande è difficile dare una risposta

poiché l’essere parte del gruppo porta ad una percezione differente rispetto a quella di un

osservatore esterno.

E secondariamente è opportuno domandarsi:

- Quando dovremmo incontrarci?

Bisogna garantire la continuità delle sedute e fondamentale è la scelta dell’orario, che non

dev’essere modificato. La frequenza delle sedute viene spesso determinata da chi richiede

l’intervento, ma è bene in ogni modo stabilire un numero di incontri settimanali ottimali

per quel determinato gruppo. La durata delle sedute dipende dal tipo di attività in

programma, dall’età e dalle abilità del gruppo. In linea di massima, le arti figurative

richiedono più tempo del teatro e della musica, mentre per la danza saranno opportuni

incontri più brevi, ma più frequenti.

- Dove avranno luogo questi incontri?

Se si lavora con le arti figurative è necessario che nel locale prescelto vi sia un lavabo

facilmente raggiungibile. Se, invece, si intende condurre un incontro di danza, vi

dev’essere quantomeno un pavimento adatto a potersi muovere agilmente.

Può essere utile verificare gli altri usi della stanza che si adibisce alla terapia perché i

membri del gruppo potrebbero associare quello spazio ad attività meno piacevoli.

In definitiva, anche quando i tempi sono predeterminati, è importante cercare di ottenere

soluzioni migliori se non corrispondono alle proprie esigenze e a quelle del gruppo.

In ultimo luogo si sarà pronti a rispondere al:

- Come deve aver luogo l’intervento?

Il come dell’intervento è dato dalla somma della conoscenza di sé, della propria forma

d’arte e del gruppo, e consiste nel come usare il proprio materiale al fine di soddisfare le

esigenze del gruppo. Le modalità dell’intervento avranno un significato diverso per ogni

persona, ma anche per la stessa persona in momenti o gruppi diversi.

L’operatore deve essere flessibile ed alternare momenti di maggior e minor direttività

quando necessario, in funzione degli scopi per cui il gruppo si è formato.

È da ricordare però che più istruzioni s’impartiscono al gruppo, meno spazio verrà

lasciato alla creatività personale.

5.3.1 L’operatore e i quesiti della seduta

Quesiti antecedenti la seduta:

a) C’è tutta l’attrezzatura di cui ho bisogno?

b) Sono presenti tutti i membri del gruppo?

c) Qual è l’umore generale del gruppo? È in sintonia con i miei programmi per questa

seduta?

Quesiti riguardanti la seduta:

a) Mi sono presentato? Il gruppo sa perché sono qui e cosa faremo insieme? Come

reagisco a questo?

b) Conosco i membri del gruppo?

Ogni gruppo è diverso e ogni persona all’interno del gruppo è unica. Ciascuno produce la

sua impronta in modo diverso e diverso è il mezzo in cui essi sono più creativi. È

consigliabile condividere informazioni e permettere ai membri di sentirsi parte attiva nel

processo decisionale del gruppo, anche semplicemente per il tipo di attività che

prediligerebbero svolgere.

c) Sto preparando il gruppo alle prossime attività?

La preparazione determina il tono della seduta. Se la seduta si prospetta fisicamente

impegnativa, è importante riscaldare articolazioni e muscoli. Se la seduta ha per oggetto

la fantasia, saranno necessari degli esercizi per attivarla. Se all’inizio di una seduta il tono

generale è indolente, è improbabile che il gruppo sia pronto a consumare energie senza

prima essere coinvolto dal punto di vista motivazionale.

d) Come rispondono i membri del gruppo?

e) Il mio modo di presentare le attività è comprensibile a tutti? Sto lavorando al loro

ritmo?

f) Il grado di strutturazione che sto fornendo permette al gruppo di essere creativo?

g) Sto rispondendo alle esigenze particolari del gruppo? Sono consapevole

dell’evoluzione delle esigenze del gruppo?

Per valutare le necessità del gruppo è richiesta concentrazione e attenzione a tutti i

comportamenti osservabili. Il linguaggio deve essere adattato all’età e al livello culturale

del gruppo, meglio se accompagnato con una gestualità accentuata.

È bene terminare ogni attività alla fine della seduta, senza lasciare in sospeso nulla.

h) È opportuna la modalità in cui sto occupando il tempo a mia disposizione?

i) Mi sto divertendo?

Se così non fosse è difficile che lo sia per gli altri membri del gruppo. È necessario tenere

a mente chi rappresenta il target dell’attività.

f) Come posso concludere la seduta in modo positivo e rilassante?

Alcuni esempi sono stendersi a terra, ascoltare una melodia tranquilla, dondolarsi

leggermente in coppie e raccontare una storia al gruppo disteso sul pavimento con gli

occhi chiusi.

Quesiti da porsi a seduta ultimata:

a) Tutti i membri del gruppo sono a conoscenza della data della prossima seduta o è

necessario che invii un promemoria a qualcuno?

b) Si sono ricordati di portare via il loro materiale?

c) E io, ho tutte le cose che avevo quando sono arrivato?

5.3.2 Valutazione della seduta e programmazione della successiva

Valutazione della seduta:

a) Come ha risposto il gruppo: a me, al materiale utilizzato e agli altri membri del

gruppo? Corrisponde alle mie aspettative?

b) Quali sensazioni ho provato durante la seduta? Ne individuo le motivazioni.

c) Ho raggiunto qualcuno dei miei obiettivi prefissati durante la seduta? Ne ho

identificati di nuovi?

d) Ho annotato le mie osservazioni e impressioni sulla seduta?

È utile stendere un resoconto clinico che includa osservazioni sullo svolgimento

dell’attività e sulla partecipazione dei membri del gruppo.

Programmazione della seduta successiva:

a) E’ adeguato l’approccio che sto seguendo? Cosa posso modificare per garantire un

risultato ottimale?

b) Quali membri del gruppo hanno bisogno di una particolare attenzione? E come posso

rispondere al meglio a queste necessità senza disturbare gli altri?

c) Come impostare la seduta successiva per offrire una continuità al lavoro di gruppo?

d) Ho previsto un intervallo sufficiente tra le sedute?

Nel lungo termine è essenziale riservare a sé stessi e all’intero gruppo uno spazio

temporale in cui poter reintegrare le energie consumate.

5.4 Le molteplici forme di arteterapia

5.4.1 Terapia dell’arte figurativa

La terapia dell’arte figurativa orientata dinamicamente (Naumburg, 1890-1983) si basa

sul riconoscimento che i pensieri e sentimenti fondamentali dell’uomo siano derivati

dall’inconscio e possano venire alla luce nelle immagini piuttosto che con la parola.

La proiezione pittorica incoraggia quindi un metodo di comunicazione simbolica tra

paziente e terapeuta di tipo non proposizionale che assicura un rapporto armonioso tra

l’uomo e il suo ambiente.

Il processo terapeutico ha così inizio quando la forma espressa è osservata in una

dimensione di rapporto tra il terapeuta e paziente ed è il luogo di transfert e

controtransfert.

Gli interventi di questo tipo implicano l’uso di differenti canali percettivi sensoriali ed

espressivi e l’organizzazione ambientale del setting ha un valore determinante per il

successo clinico dell’intervento.

La terapia dell’arte figurativa agisce sulle carenze dovute ad uno sviluppo insufficiente

della creatività, stabilendo un setting che ricalchi simbolicamente quello offerto al

bambino dalla madre sufficientemente buona winnicottiana (Winnicott, 1965).

Oltre alla produzione “attiva” può anche essere messo in atto un intervento di tipo

“passivo”, vale a dire la fruizione dell’arte.

Secondo Kramer (1985) l’arteterapia permette di raggiungere quelle forme della vita

interiore incommensurabili con le strutture del linguaggio; infatti il concetto chiave è la

forma.

Per quanto concerne gli effetti terapeutici il coinvolgimento, la gratificazione personale e

l’approvazione esterna del prodotto finito aumentano l’autostima e contribuiscono a

ristrutturare il fragile senso di identità del paziente. Inoltre attraverso il lavoro creativo si

passa dalla soddisfazione immediata del piacere istintuale al piacere sublimato e implica

l’assunzione del controllo.

L’arte pittorica è per il tourettiano una possibilità di dare corpo ai sentimenti inespressi

tramite la rappresentazione grafica, elemento lontano dai processi linguistici e corporei

che provocano disagio al paziente nella sua vita quotidiana.

5.4.2 Musicoterapia

La musica dal mentale procede verso il campo sensoriale e corporeo e attiva risposte

motorie neurovegetative in parte autonome da una rielaborazione centrale.

La musicoterapia permette una presa di coscienza di questi processi tramite il ritmo che è

profondamente radicato nell’essere. Ciò spiega la scelta di brani musicali che parlino al

paziente direttamente con linguaggio assoluto e primario.

L’esperienza musicale ha quindi accesso diretto all’inconscio consentendo la

riattualizzazione fantasmatica delle esperienze relazionali primordiali del bambino con la

madre: il suono è come un prolungamento della voce della madre nelle prime fasi della

vita psichica.

Come la madre parla al suo bambino così il terapeuta diventa il supporto materiale della

proiezione dei bisogni di dipendenza evocati dallo stimolo sonoro.

La sindrome di Tourette ad esempio è vista come un complesso vitale che ha perso o,

come accade nel caso di eziopatogenesi genetiche, non ha mai avuto un proprio ritmo

nella coordinazione dei movimenti e del linguaggio.

Infine è opportuno sottolineare che la musica può essere utilizzata in terapia o come

terapia e quindi come mezzo o parte integrante della relazione terapeutica; inoltre si può

sfruttare dal punto di vista individuale o gruppale con la costituzione di band musicali di

pazienti.

5.4.3 Danzaterapia

Questo tipo di attività espressiva esplora il paradigma danza-suono-ritmo cercando di

riattivare un linguaggio vitale che contraddistingue i modelli di comunicazione

primordiali, il corpo diventa protagonista in una sorta di pensiero corporeo.

Utilizzare la danza in terapia vuol dire permettere alla persona di riconoscere nelle forme

della sua espressione corporea il ritmo e lo spazio che occupa, oltre ai messaggi simbolici

che invia e riceve.

La danza si può dunque definire un’impresa consapevole ed estetica in cui il movimento

diviene il mezzo espressivo e comunicativo.

Nel tourettiano per esempio la danza, come l’attività fisica in generale, può aiutare a

ridestare un controllo consapevole sulla propria corporeità “irriverente” e a restituire

quell’armonia perduta dietro i, talvolta goffi tic.

5.4.4 Drammaterapia

La funzione terapeutica è data dal concetto di ruolo sociale o psicologico: i fattori esterni

che maggiormente influenzano le nostre rappresentazioni di ruolo sono le persone con cui

interagiamo.

Quindi lo scopo principale riguarda la risoluzione dei problemi di comunicazione tra le

persone dovuti alla mancanza di flessibilità di ruolo e di interazione appropriata al

contesto e alla società in cui viviamo.

Per portare a compimento quanto sopra affermato la AIST (Associazione Italiana

Sindrome di Tourette), per esempio, organizza ogni anno una rappresentazione teatrale

rendendo protagonisti per una sera un gruppo di giovani pazienti tourettiani. Questo

consente non solo di mettere in gioco le proprie capacità relazionali e artistiche, ma anche

di allargare la propria rete sociale in cui vengono così inserite nuove persone con cui

scambiare preziosi insegnamenti, alla pari di un gruppo AMA (Auto Mutuo Aiuto).

5.5 Uso riabilitativo delle attività espressive di arteterapia

Le tecniche espressive riabilitative si definiscono attraverso un progetto condiviso, un

tempo predeterminato, una serie di step sequenziali e l’obiettivo principale della

socializzazione; al fine ultimo di esporre il soggetto all’esame di realtà.

La condivisione e la collaborazione con altre persone implica mettersi in rapporto con le

parti sane proprie e altrui.

Con i pazienti gravi dobbiamo tenere presente che l’arte non può essere l’unica terapia,

anzi deve essere considerata in un trattamento complesso e articolato.

Se si considera che i pazienti con quadri diagnostici difficili manchino della competenza

pragmatica e quindi presentino disabilitanti disturbi della comunicazione e

inconsapevolezza delle regole fondanti il processo comunicativo, le tecniche espressive

contestualizzate in un quadro riabilitativo cognitivo-comportamentale possono diventare

un tramite per riattivare le strutture cognitive deficitarie.

Infatti l’uso di meccanismi espressivi e comunicativi formalmente meno complessi

permette di sviluppare strategie alternative più adeguate per un recupero delle funzioni

relazionali.

Possiamo comunque distinguere nella pratica delle tecniche espressive una valenza

riabilitativa prettamente cognitiva per mezzo della quale il paziente si confronta con la

materia, la maneggia e si adatta ai vincoli della realtà; e una valenza di tipo psicosociale

che si determina attraverso l’incontro con la comunità sociale.

La valenza riabilitativa delle arti terapie è vincente se, dietro all’acquisizione di abilità

specifiche, lo schema appreso può essere applicato positivamente anche fuori dal contesto

terapeutico.

 

6 LA SCUOLA: DA OSTACOLO A SUPPORTO E LUOGO TERAPEUTICO

6.1 Introduzione

Un bambino che presenta tic, e con la sindrome di Tourette necessita di attenzioni e

trattamenti particolari da parte della classe e delle insegnanti. Spesso nelle scuole la

sindrome è del tutto ignorata e il personale improvvisa strategie per far fronte agli

inevitabili disagi sentiti dal soggetto in questione che si riversano successivamente sui

suoi compagni di studio, senza mettere lo studente nella possibilità di avere un insegnante

di sostegno. Infatti capita che i tratti di ADHD che accompagnano la sindrome vengano

scambiati per svogliatezza e irrequietezza, talvolta maleducazione; quando invece sono

fonte di sofferenza emotiva esternalizzata. Anche i tic stessi, soprattutto quelli vocali,

possono essere mal interpretati inizialmente come atti provocatori da parte del

bambino/adolescente per distrarre la classe dalla lezione o comunque destare l’attenzione

di chi passa il tempo con lo stesso.

Viceversa, è attitudine scorretta anche il tentativo di eliminare qualsiasi tipo di evento o

situazione possibilmente stressante, mettendo l’alunno in condizione passivizzante e non

stimolante.

Da parte dei compagni invece il comportamento bizzarro del tourettiano fomenta

commenti o addirittura derisione e dispetti, soprattutto in età adolescenziale quando i

comportamenti discriminatori aumentano e si diffondono all’interno dei gruppi dei pari,

come in questo caso il gruppo-classe.

Nelle scuole si sta diffondendo la distribuzione di informazione su vari temi psicologici

come anoressia e bulimia o la dipendenza da sostanze per mezzo di iniziative del

Ministero della Salute e il gruppo AIST (Associazione Italiana Sindrome Tourette) sta

potenziando le sue risorse per arricchire studenti e docenti di conoscenze relative alla

sindrome in questione, con l’obiettivo primario di insegnare a rispettare queste persone

malate.

6.2 Comportamenti da tenere a scuola nei confronti del tourettiano

Seguono delle indicazioni pratiche (Porta, 2010) destinate a chi vive l’ambiente

scolastico con un paziente affetto dalla sindrome di Tourette.

Ignorate i tic. Non bisogna commentare i tic a voce alta in quanto sottolineare la

manifestazione di un tic o semplicemente accennare ad esso provoca un aumento della

frequenza dei tic stessi.

Date al bambino/adolescente la costante possibilità di lasciare autonomamente la classe

per qualche istante, per mettere in atto i tic in un luogo appartato, o quando i tic

diventano incontrollabili. Al contrario ordinare esplicitamente di uscire dalla classe a

causa dei tic è spesso interpretato come una punizione e verosimilmente causa un

peggioramento del quadro sintomatico, e spesso alcune reazioni comportamentali.

Concedete del tempo aggiuntivo per i compiti di lettura e scrittura, soprattutto se il

soggetto presenta tic agli occhi, alla testa, alle spalle, alle braccia o alle mani.

Date la possibilità allo studente di usufruire di un luogo appartato per eseguire le

verifiche. Questa strategia va applicata se permette al soggetto di migliorare i risultati

delle prove a partire dal fatto di non essere disturbato né di poter distrarre i compagni.

Inoltre spesso i tourettiani si inibiscono nello svolgimento dei compiti alla presenza

altrui, anche perché devono investire parte della loro energia cognitiva nel tenere a bada

la manifestazione ticcosa che preme per venire allo scoperto.

Sperimentate metodi alternativi per le spiegazioni o per presentare il materiale

scolastico. Se la lettura è compromessa da tic alla testa o agli occhi è opportuno ricorrere

a libri registrati o a qualcuno che legga e registri le lezioni per lo studente. Dove

possibile, inoltre, si possono utilizzare strumenti multisensoriali, tenendo in

considerazione però le eventuali difficoltà di manipolazione del ragazzo.

Concordate preventivamente insieme allo studente, soprattutto se presenta tic vocali, se

verrà interrogato davanti al resto della classe e se verrà interpellato per la lettura a voce

alta durante le spiegazioni.

Consentite il ricorso a metodi di scrittura alternativi, se quest’ultima è pregiudicata dai

tic. A questo fine si possono sfruttare registrazioni, lavagne magnetiche, tastiere, software

per la scrittura vocale o la dettatura ad un compagno.

Concordate se suddividere le verifiche in più parti, concedendo l’opportunità di

muoversi, alzarsi e abbandonare la classe. Infatti l’ADHD non consente di mantenere

l’attenzione su un compito per un periodo di tempo prolungato né di arrivare a

compimento di un esercizio, se troppo lungo da svolgere.

Tenete presente che biblioteche, musei, teatri ed auditorium possano risultare

particolarmente stressanti per chi presenta tic vocali. Si consiglia pertanto di concordare

con il soggetto l’esonero dalle attività svolte in questi ambienti, suggerendo però una

soluzione alternativa per non fargli sperimentare sentimenti di esclusione e diversità.

Cercate con lo studente una collocazione nella classe che risulti il più confortevole

possibile. È spesso una buona soluzione la scelta di un banco vicino alla porta, che gli

consenta di uscire senza disturbare nessuno. Bisogna tuttavia valutare che i rumori

provenienti dal corridoio possano costituire una fonte di distrazione.

Responsabilizzate e coinvolgete l’alunno nelle pratiche di routine della classe che

eventualmente gli consentano anche di muoversi. Alcuni esempi possono essere: la

distribuzione di fogli banco per banco, il tenere la classe ordinata o l’invio del soggetto

dal preside per una comunicazione importante da parte della sua insegnante.

Ricordate che i farmaci prescritti hanno spesso importanti effetti collaterali. Per ottenere

informazioni approfondite a proposito, si può consultare un medico.

Incoraggiate lo studente a lavorare con più impegno nei periodi di remissione della

malattia. Questo permetterà di ridurre lo stress derivante dalle maggiori difficoltà nei

periodi di recrudescenza.

Prevedete uno spazio vuoto attorno al banco dello studente, se presenta tic o compulsioni

che lo inducono a toccare i compagni o gli oggetti. In questo modo il soggetto darà sfogo

alla sua sintomatologia senza provocare stress e distrazione all’interno della classe.

Inoltre spesso è utile concedere un secondo banco, preferibilmente schermato dal resto

della classe, dove potersi concentrare e lavorare più serenamente; è particolarmente

adatto a chi ha imparato a conoscere la sua patologia e i propri tic e può pertanto gestire

la situazione consapevolmente.

Consentite al bambino/adolescente di lavorare nella posizione che ritiene più comoda.

Incoraggiate il bambino a fidarsi di voi e a confidarvi le sue necessità, concedendogli

spazi di colloquio riservato e promuovendo un clima di collaborazione con i compagni.

Sorvegliate gli spazi di ricreazione (mensa, spogliatoio,cortile…) prima di intervenire, se

vi accorgete o vi viene riferito che lo studente è oggetto di derisione e scherzi.

Per motivi etici, richiedete il consenso dei genitori e dello studente prima di rivelare la

natura della malattia ai compagni e agli altri genitori.

6.3 La sindrome di Tourette e la creatività nelle scuole

6.3.1 Introduzione dell’arteterapia a scuola

L’arteterapia è un mezzo di espressione altamente proiettivo, libero dai filtri e dai pregiudizi

che affettano il linguaggio verbale, con un valore simbolico interpretabile da parte

dell’insegnante.

I piccoli pazienti sperimentano che la propria produzione creativa si trasforma in

un'impronta duratura del proprio mondo interiore che, in questo modo, viene trasferito al

mondo sensibile e metaforicamente rivelato.

Il bambino procede così in una spirale di auto-conoscenza, venendo a contatto diretto con

le proprie emozioni che acquistano una forma fisica tangibile o visibile, con il vantaggio

di una facilitazione all'autodominio, poiché la creazione è già, di per sé, differenziazione

e gestione del mondo interiore mediante una materializzazione simbolica che permette di

espellere l'indesiderabile e di gestirlo.

Sebbene inizialmente le pratiche arteterapeutiche si sviluppassero in un contesto

ospedaliero per trattare fondamentalmente pazienti schizofrenici e con altre psicosi, oggi

incontriamo un uso di questa più flessibile e adattato alle richieste di una società che

chiede, sempre più insistentemente, di apprendere a canalizzare costruttivamente la vita

emozionale degli individui.

L'arteterapia è ritenuta decisamente appropriata nelle terapie dei bambini ed è stata

utilizzata anche a scopo preventivo nei contesti scolari.

Concludendo nei bambini affetti da malattie neurologiche, come la sindrome di Tourette,

è naturale che il vissuto emotivo sia fortemente gravato da forte ansia ed angoscia che

possono essere esternati e riconsegnati al mondo attraverso un prodotto creativo, che

trova tra l'altro nei bambini un terreno molto più fertile e di facile percorrenza rispetto

agli adulti.

6.3.2 Il laboratorio creativo scolastico

L’avvio dell’esperienza laboratoriale implica una preparazione e sensibilizzazione degli

allievi, oltre, ad una formazione iniziale e una supervisione ricorrente da parte dei docenti

impegnati nell’esperienza (Cerioli e Antonietti, 2001).

In modo semplice, è utile informare i bambini e i ragazzi sul senso delle attività proposte,

la durata dell’esperienza (in genere alcuni mesi con sedute bisettimanali di un’ora circa),

la sua importanza anche sul piano dell’apprendimento scolastico. Costituito il gruppo,

che -compatibilmente con le possibilità organizzative- non dovrebbe superare le 15 unità,

il docente lo introduce nel luogo designato, che non dovrebbe mutare nel corso di tutta

l’esperienza né corrispondere con la classe per differenziare i due tipi di attività. Si lascia

agli allievi la possibilità di scegliere il proprio posto nella disposizione che appare loro

più funzionale al lavoro. Quando vi è sufficiente silenzio e attenzione, l’insegnante può

formalmente e ritualmente aprire lo spazio di lavoro.

È importante che poco per volta ogni partecipante abbia la possibilità di significare

simbolicamente e in modo consapevole il passaggio dalla normale vita scolastica a questa

peculiare e nuova esperienza.

Da questo momento il trainer e gli allievi sono impegnati a vivere l’attività seguendo i

principi indicati, non quale formale ubbidienza al gioco gruppale, ma quale forma di

rispetto delle potenzialità che il setting andrà accogliendo e restituendo.

Il trainer potrà quindi illustrare (e richiamare sinteticamente nelle sedute successive) i

principi sa seguire. Procederà quindi a proporre lo stimolo evocativo secondo le modalità

indicate. Lo spazio centrale della seduta sarà dedicato all’analisi e alla elaborazione dello

stimolo. L’insegnante, quindi, riformulerà sinteticamente gli elementi emersi nel corso

dell’esperienza e, sempre ritualmente e simbolicamente, segnalerà il passaggio alla

dimensione usuale di lavoro scolastico.

Le fasi di apertura e di chiusura, in quanto fasi di confine con la dimensione

specificatamente scolastica, dovranno essere adeguatamente presidiate e delimitate dalla

funzione contenitivo-organizzativa del docente. Le parti centrali, maggiormente deputate

al pensare insieme, potranno avvantaggiarsi -quando il setting sarà stabilmente

strutturato- di un codice maggiormente materno, in grado di accettare, restituire e

metabolizzare ciò che è stato possibile pensare ed esprimere.

6.3.3 L’esperienza per il tourettiano

Nel caso del soggetto affetto da sindrome di Tourette è opportuno far riferimento ad

alcuni accorgimenti specifici.

Per cominciare bisogna tener presente dei disturbi del movimento del paziente che

potrebbero compromettere il mantenimento di una posizione fissa per portare a termine

un prodotto creativo di tipo figurativo. Nel caso il compito da svolgere sia di tipo

imitativo è preferibile selezionare immagini (eventualmente per la classe intera) che non

presentino dettagli piccoli né siano di difficile riproduzione, ma se possibile figure

astratte. Il fatto di sperimentare situazioni di fallimento, infatti, potrebbe produrre un

incremento improvviso della sintomatologia ticcosa o reazioni aggressive.

Nell’ambito musicale è più indicato introdurre lo studente all’apprendimento di strumenti

musicali, piuttosto che al canto, in quanto la sintomatologia vocale potrebbe generare

imbarazzo per il soggetto all’interno di un coro, e nel caso non si manifestasse,

provocherebbe, alla fine del laboratorio, una forte stanchezza per aver dovuto esercitare il

controllo sui tic vocali.

Nelle attività relative alla danza è preferibile lasciare il paziente tourettiano libero di

improvvisare i movimenti piuttosto che aderire ad uno schema rigido, come quello della

danza classica: è risaputo infatti che un eccesso di regole in cui cercare di canalizzare le

energie di un soggetto Tourette non diano i risultati sperati, ma spesso esacerbino i suoi

sintomi ADHD.

La recitazione pare, fra le attività espressive, essere quella più consona a pazienti affetti

da tale sindrome così come da psicosi. Infatti il soggetto può costruirsi un ruolo

alternativo a quello giocato ogni giorno e apprendere nuovi stili cognitivicomportamentali

e allontanarsi così dai propri disturbi OCB. Oltretutto il ragazzo può

esercitare anche nuovi pattern relazionali con i compagni e modificare il suo stile

interattivo grazie alla caratteristica empatica di questa esperienza, che permette di

“mettersi nei panni degli altri”.

A fronte degli accentuati deficit motori, cognitivi e sociali del paziente Tourette è

possibile introdurre nell’orario scolastico una o più di queste discipline in modalità di

laboratorio per restituire allo studente l’autoefficacia che spesso è andata perduta.

 

7 LA RICERCA

7.1 Abstract

La ricerca è stata realizzata al fine di verificare l’ipotesi per la quale i soggetti tourettiani

sono più creativi dei soggetti non tourettiani. Sono stati raccolti i dati dal gruppo

sperimentale presso l’Istituto Galeazzi di Milano e dal gruppo di controllo presso una

scuola elementare di Milano; l’età dei soggetti è compresa fra i 6 e i 18 anni. Sono stati

utilizzati tre test sulla creatività e pensiero divergente di Williams, auto ed eterovalutativi.

I risultati validano l’ipotesi di partenza per il subtest Flessibilità appartenente al test

“Pensiero divergente” (Williams, 1994).

7.2 Introduzione

Ho scelto di svolgere la ricerca su questo aspetto della sindrome di Tourette perchè la

creatività rappresenta il risvolto positivo della patologia e inoltre offre spunti riabilitativi

fondati sulle attività espressive dell’arteterapia. Generalmente le ricerche scientifiche si

soffermano su aspetti come la comorbilità con altre patologie al fine di individuare

terapie mediche innovative; mentre la psicologia ha in questo caso cercato di studiare la

malattia per ciò che la caratterizza positivamente con lo scopo di costruire un piano

terapeutico fondato sulla creatività.

I tre test TCD di Williams non erano mai stati applicati ad un campione di soggetti affetti

dalla sindrome di Tourette. La letteratura (Oliver Sacks, 1992; Kammer, 2007) illustra

come la correlazione fra la sindrome neurologica e il tipo di personalità venga dimostrato

solo a partire dalla storia di personaggi illustri, il grande Mozart per esempio, che

presentavano questo disturbo ed erano dotati dal punto di vista creativo, e da ricerche sul

rapporto fra OCB e creatività; dunque nella comunità scientifica vi era la necessità di

confermare sul piano empirico la correlazione per poter dar luce ad una nuova teoria.

7.3 Ipotesi di ricerca

L’ipotesi da cui parte la ricerca è quella per la quale il pensiero divergente e la personalità

creativa siano più sviluppati in coloro affetti dalla sindrome di Tourette piuttosto che nei

soggetti non affetti dalla sindrome di Tourette.

7.4 Metodo

Viene ora presentato il metodo da me seguito per verificare le ipotesi sopra descritte.

Nel mese di giugno 2009 mi sono messa in contatto con il più conosciuto neurologo

italiano che si occupa della sindrome di Tourette, vale a dire il Prof. Mauro Porta che,

oltre a svolgere attività ambulatoriale presso l’Istituto Galeazzi, La Madonnina, La Città

di Milano e il Centro San Donato di Zingonia, è professore presso l’Università degli studi

di Pavia ed è attivo nella ricerca e pubblicazione di articoli e testi scientifici.

A partire da ottobre 2009 ho iniziato ad assistere alle visite ambulatoriali del Prof. Porta

per approfondire la mia conoscenza sul paziente tourettiano, in prima istanza mantenendo

il ruolo di osservatore e col tempo imparando ad interagire con loro durante la visita

neurologica e la somministrazione dei test.

La tipologia di disegno di ricerca prescelta è lo studio osservazionale sulle differenze fra

soggetti TS e non TS che emergono da 3 test sul pensiero divergente e sulla creatività.

Per quanto riguarda il testaggio sul gruppo sperimentale, a seguito della visita

neurologica conduco il paziente e i propri i genitori in uno studio medico dell’ospedale.

Innanzitutto espongo gli scopi dei test, rassicurandoli sulla privacy dei loro dati personali

e consegno loro un consenso informato (cfr. Allegati - Consenso informato

genitore/insegnante e Consenso informato minore) a testa se tutti maggiorenni, oppure un

consenso ad ogni genitore ed un consenso ad uno dei genitori in quanto responsabile del

figlio minore. Dopodiché illustro la modalità di compilazione dei tre test e terminato il

tempo a loro disposizione ritiro le scale. Ai genitori viene spiegato che hanno la

possibilità di consegnare una “Scala Williams” - con relativo consenso informato - ad un

insegnante del bambino, da compilare e da riconsegnarmi.

Invece per la somministrazione al gruppo di controllo ho consegnato ad ogni bambino

una busta chiusa contente i tre test che mi ha permesso, a partire dalla richiesta della

scuola, di mantenere l’anonimato. Le famiglie hanno svolto a casa i test e poi mi hanno

riconsegnato in busta quanto compilato. Ho chiesto all’insegnante della classe di

compilare la “Scala Williams” per ogni studente, ma non mi ha dato la sua disponibilità.

Una volta analizzati i vari test, secondo le modalità esposte nel manuale “TCD Test della

creatività e pensiero divergente”di F. Williams, e ottenuti i punteggi grezzi e ponderati ho

inserito i dati in Microsoft Office Excel 2007, poi trasferiti in PASW Statistics 18 per le

analisi di tipo quantitativo.

7.4.1 Campione

Il campione è composto da 23 bambini/adolescenti fra i 6 e i 18 anni affetti dalla

sindrome di Tourette e da 23 bambini/adolescenti fra i 6 e i 18 anni non affetti dalla

sindrome di Tourette, secondo i parametri della World Health Organisation for TS. Parte

costituente del campione sono anche l’insegnante e i genitori dei soggetti che hanno

compilato la “Scala Williams”.

Nello specifico ho raccolto i dati di 27 pazienti affetti dalla sindrome di Tourette, ma ho

dovuto escludere dal campionamento 4 soggetti in quanto due soggetti hanno lasciato

incompleto parte del testaggio, un terzo aveva 18 anni e il genitore ha mostrato di non

riuscire a rispondere alle domande sul figlio perchè troppo legate al periodo infantile;

mentre l’ultimo bambino aveva 6 anni e si è dimostrato troppo piccolo per disegnare delle

immagini analizzabili e rispondere, anche con il mio aiuto, ai quesiti del test “Personalità

creativa”. Un solo insegnante del campione TS ha compilato la “Scala Williams” e così

ho escluso dalla ricerca le valutazioni degli insegnanti.

Per quanto riguarda invece il gruppo di controllo ho consegnato 25 buste ai 25

componenti della classe elementare in cui lavoro come educatrice scolastica a Milano, ma

le famiglie di 4 bambini hanno deciso di non prendere parte alla ricerca, così come

l’insegnante della classe. Dunque mi sono rivolta a 5 adolescenti esterni alla scuola, al

fine di aumentare l’omogeneità della variabile età nel campione, e 2 di loro hanno aderito

al testaggio.

7.4.1.1 Gruppo sperimentale

L’età media del campione di soggetti affetti dalla sindrome di Tourette è 12,7 anni. È

questa, infatti, l’età apice in cui si manifesta la sintomatologia ticcosa che, in seguito,

tende a regredire fino a scomparire con la maturità cerebrale, intorno ai 22 anni.

Il 78% del campione di tourettiani è di sesso maschile. Questo dato sottolinea già la

validità del campione utilizzato in quanto, come conferma la letteratura, la frequenza

della sindrome in maschi e femmine è pari ad un rapporto 3:1.

7.4.1.2 Gruppo di controllo

L’età media del campione di controllo è 9 anni, questo è dovuto al fatto che la maggior

parte dei soggetti appartiene alla stessa classe scolastica.

La variabile sesso nel gruppo di controllo è ben distribuita, risulta omogenea.

7.4.2 Strumenti

Al fine dello svolgimento della ricerca, sono stati utilizzati tre test psicologici.

Il primo è il “Pensiero divergente”di Williams (1994), basato sul modello di Williams,

che misura la combinazione di capacità verbali, che dipendono dall’emisfero sinistro, e di

capacità visuo-percettive non verbali, che dipendono invece dall’emisfero destro. I

processi di base valutati sono le trasformazioni divergenti di figure (creatività visiva) e

l’attribuzione dei titoli alle figure prodotte, che richiede capacità verbali ed è stata

definita trasformazione semantica divergente. In tal modo il test sollecita produzioni

contemporanee dell’emisfero destro e sinistro, quindi in pari tempo cognitive ed

emozionali.

Il test fornisce punteggi per i quattro fattori cognitivo-divergenti del pensiero creativo

derivati dalla ricerca analitica di Guilford sui fattori dell’intelligenza umana, che

corrispondono a quattro subtest: Fluidità, Flessibilità, Originalità, Elaborazione. Inoltre vi

sono è un altro subtest (Titoli) e il Punteggio Totale. Il test è composto da 12 riquadri

contenenti una linea o una forma da utilizzare come punto di partenza per completare un

disegno a piacere. Una volta concluso il primo disegno bisogna apporre un titolo sulla

linea sottostante il disegno e procedere, passando al secondo disegno e così via. I bambini

fra i 6 e gli 8 anni hanno 25 minuti di tempo a disposizione per terminare la prova,

mentre i bambini e gli adolescenti fra i 9 e i 18 anni dispongono di soli 20 minuti per

completare i disegni.

Il secondo test utilizzato è “Personalità creativa” di Williams (1994) e misura sia l’analisi

verbale dipendente dall’emisfero sinistro, sia processi emozionali che dipendono

dall’emisfero destro. In particolare, il test fornisce risultati per i quattro fattori emotivodivergenti

della personalità creativa, dati dal modello di Willams, e un punteggio totale

della prova. La scala è costituita da 50 item autovalutativi a scelta multipla e richiede 20-

30 minuti per l’esecuzione; per motivi di comprensione è preferibile che i bambini piccoli

completino il test con un adulto.

Le caratteristiche dei fattori dei test “Pensiero divergente” e “Personalità creativa” sono

state esposte precedentemente (vedi 2.4); entrambi i test sono rivolti a

bambini/adolescenti fra i 6 e i 18 anni.

Il terzo test è la “Scala Williams” di Williams (1994) e valuta il pensiero divergente e la

personalità creativa di bambini e adolescenti di età compresa fra i 6 i 18 anni.

Essa presenta 6 item su scala Likert per ciascuno degli otto fattori misurati dal “Pensiero

divergente e “Personalità creativa”e 4 domande aperte su cui, in relazione al bambino o

all’adolescente, un genitore o un insegnante deve esprimere una valutazione;

generalmente viene compilata in 30 minuti circa. I tre test sono allegati (cfr. Allegati).

7.5 Risultati

Per una miglior comprensione dei seguenti dati, cfr. Allegati - Scheda Sintetica dei

Risultati della Valutazione che indica medie e deviazioni standard di ogni subtest e dei

punteggi totali dei tre test utilizzati nella ricerca.

7.5.1 Confronto intragruppo

7.5.1.1 Gruppo sperimentale

Osservando le tabelle si nota come per quanto riguarda il campione Tourette, il pensiero

divergente sia nel 56,5% dei casi inferiore alla media di almeno una deviazione standard.

I grafici stanno ad indicare come prevalga invece, nella valutazione della personalità

creativa, una maggioranza di punteggi superiori alla media di almeno una deviazione

standard (1=69,6%).

Anche per quanto concerne il test self-report “Scala Williams”, compilata da parte dei

genitori dei pazienti, possiamo notare la tendenza ad attribuire una forte creatività e una

tipologia di pensiero divergente ai loro figli (1=60,9%), anche se inferiore a quella

autoriferita (69,6%).

7.5.1.2 Gruppo di controllo

Come si nota da questo grafico, la maggior parte dei bambini/adolescenti non Tourette ha

un pensiero divergente inferiore alla media di una o più deviazioni standard (-1=60,9%).

Per quanto concerne, invece la personalità creativa il 52,2% di soggetti è risultato più

creativo della media di 1 o più deviazioni standard.

Il 73,9% dei genitori del campione di controllo ha dato una valutazione sul pensiero

divergente e la creatività dei loro figli superiore alla media di 1 o più deviazioni standard.

7.5.2 Confronto intergruppi

Confrontando i risultati totali dei test “Pensiero divergente” e “Personalità creativa”

notiamo come in entrambi i casi il campione di soggetti tourettiani ottenga un punteggio

superiore a quello del gruppo di controllo.

In particolare, a partire dal grafico di cui sopra, possiamo evidenziare come, nei subtest

Flessibilità, Elaborazione e Titoli del test “Pensiero divergente” il gruppo Tourette

ottenga dei punteggi medi superiori al gruppo di controllo.

Anche per quanto riguarda i subtest della “Personalità creativa” si evidenzia come nelle

prove Curiosità, Immaginazione e Disponibilità ad assumersi rischi il gruppo di

tourettiani ottenga punteggi più elevati rispetto al gruppo di soggetti non tourettiani.

Invece, per quanto concerne la “Scala Williams” si può notare che la media dei punteggi

raggiunta sia superiore nel gruppo di controllo (m=60,08).

Confrontando il tipo di campione e il sesso del genitore che compila la “Scala Williams”,

possiamo assumere che esista una correlazione significativa fra le due variabili.

In particolare notiamo come a compilare il test siano 15 padri e 8 madri nel gruppo

sperimentale, mentre quasi sempre le madri (21) per il campione di controllo.

Nonostante quanto esposto sopra, a partire da questo riepilogo sulle differenze significative dei risultati fra i due campioni ai tre test e ai relativi subtest, possiamo concludere che l’unico subtest che presenta una differenza significativa per i risultati ottenuti dai due campioni sia il subtest Flessibilità del test “Pensiero divergente”.

I punteggi a questo subtest sono risultati più elevati nel campione Tourette, a conferma dell’ipotesi di partenza per cui i tourettiani hanno una

modalità di pensiero divergente ed è superiore ai soggetti non Tourette.

Altre differenze quasi significative sono riscontrabili nel subtest Fluidità, Immaginazione, Disponibilità ad assumersi rischi e Punteggio totale

di “Personalità creativa”.

Il grafico evidenzia appunto la differenza statisticamente significativa fra le medie al

subtest Flessibilità del test “Pensiero divergente”. Il gruppo sperimentale ha una media

pari a 8,4 e superiore a quella del gruppo di controllo (m=7).

Si può dunque affermare che l’ipotesi di ricerca è confermata per questo subtest.

In particolare questa tabella mostra come, ricodificando i dati in base al livello di

scolarità e di conseguenza anche alla variabile età (cfr. Allegati - Profilo della creatività

dello studente o della classe), 16 bambini adolescenti Tourette su 23 si siano mostrati

dotati dal punto di vista creativo.

7.6 Discussione

A partire dai risultati sopra esposti, propongo ora delle ipotesi interpretative di quanto

emerso dalla ricerca.

In primo luogo è possibile che in entrambi i gruppi la tipologia di scala abbia

determinato la differenza di risultato riscontrata fra i due test “Pensiero divergente” (il

56,5% dei soggetti tourettiani e il 60,9% del gruppo di controllo ha ottenuto un risultato

inferiore alla media di una o più deviazioni standard) e “Personalità creativa” (il 69,6%

del gruppo Tourette e il 52,2% del campione non Tourette ha ottenuto un punteggio

superiore alla media di una o più deviazioni standard). Essendo infatti il test “Personalità

creativa” un self-report, a differenza della scala eterovalutativa “Pensiero divergente” si

può supporre che i soggetti si siano attribuiti una valutazione particolarmente positiva al

fine di aderire agli scopi della ricerca. Un’altra ipotesi che possiamo trarre da questa

differenza significativa è riscontrabile nella natura stessa delle variabili. Infatti, il test

“Pensiero divergente” dà la possibilità di valutare fattori a livello cognitivo-intellettivo,

mentre il test “Personalità creativa” nasce per quantificare il grado di creatività insita

nella personalità del soggetto in questione. Pertanto i due test si rivolgono a due sfere

psicologiche differenti, anche se interagenti l’un l’altra; di fatti anche se utilizzati nella

stessa batteria di test, i risultati rimangono distinti. A livello clinico, è possibile fare in

modo di sviluppare il pensiero divergente a differenza della personalità creativa che

risulta essere un fattore più stabile. Il fatto dunque di aver ottenuto punteggi inferiori nel

secondo test e non viceversa può essere valutato in modo positivo se si pensano alle

possibilità riabilitative dei pazienti.

Un altro punto su cui mi vorrei soffermare è relativo al tema familiare. Dai risultati

emerge infatti come il 73,9% del gruppo di controllo ottenga un punteggio alla “Scala

Williams” superiore alla media di almeno una deviazione standard; possiamo ipotizzare

che questo sia dovuto al fatto che, il campione non Tourette abbia aderito alla

desiderabilità sociale per fornire un’impressione positiva sui propri figli. Oltretutto la

desiderabilità sociale è superiore in famiglie di un ceto sociale elevato rispetto a quelle di

ceto sociale medio (cfr. letteratura: Corbetta, 2005). A partire dal fatto che, in questa

ricerca, i pazienti tourettiani appartengano ad un ceto sociale medio e il gruppo di

controllo ad un ceto sociale elevato si può ipotizzare l’influenza della variabile livello

sociale sul punteggio ottenuto dai due gruppi alla “Scala Williams”; dai risultati si rileva

infatti che il campione sperimentale ottenga in media un punteggio di 53,9 a differenza

del campione di controllo che raggiunge una media di 60. In seguito, considerando che la

scelta della persona che compila la scala Williams sia libera per i genitori, l’elevato

numero di padri dei pazienti (8/23) che compila la scala - ed oltretutto ha accompagnato

in visita il figlio - contrapposta alla quasi assenza di padri (2/23) che compilano a casa la

scala dei propri figli non Tourette, può denotare un’inferiore centralità della figura

paterna nelle famiglie di ceto sociale elevato quali quelle del gruppo di controllo. La

letteratura (Scabini, 2006) sostiene, infatti, che la famiglia contemporanea sia centrata

sulla figura materna, che diventa unico riferimento per il figlio soprattutto da un punto di

vista emotivo-affettivo.

Analizzando ora i punteggi da un punto di vista clinico, il pensiero flessibile (media

gr.sperimentale= 8,4; media gr.controllo= 7) è risultato essere l’unico punteggio in cui il

gruppo Tourette supera in modo statisticamente significativo il gruppo non Tourette e

può essere, per i pazienti tourettiani, un punto di forza per fronteggiare la tipica rigidità

intellettiva, caratteristica del disturbo OCB associato al 50% alla sindrome di Gilles de la

Tourette. Per quanto riguarda invece i subtest Fluidità e Immaginazione avevo previsto

livelli elevati in queste prove nei pazienti tourettiani -come in effetti si è verificato,

sebbene non statisticamente differenziabili dal gruppo nonTS- in quanto proprio il

disturbo OCB permette loro di accedere ad una moltitudine di idee, spesso di tipo

bizzarro, in un flusso di pensiero incessante che però può dare frutto a prodotti creativi.

7.7 Limiti

Il principale limite della ricerca risiede nel fatto che il campione di controllo non sia

differenziato per età, classe sociale e città di provenienza come il gruppo sperimentale.

Infatti l’età è distribuita fra i 6 e i 18 anni in modo omogeneo nel campione sperimentale,

mentre 21 bambini su 23 del campione di controllo hanno fra gli 8 e i 10 anni.

In secondo luogo i soggetti sperimentali appartengono in media ad una classe sociale

medio-bassa, mentre il gruppo di controllo costituisce una classe intera di una scuola

milanese molto prestigiosa ed economicamente impegnativa.

Inoltre i bambini/adolescenti del gruppo sperimentale provengono da diverse città

italiane, mentre i ragazzi del gruppo di controllo sono nati e vivono in maggioranza a

Milano.

Nonostante ciò vi sono state delle valide motivazioni per la scelta dei soggetti non

Tourette. Infatti, data la mia familiarità ed accessibilità alla classe scolastica in questione

ho ottenuto velocemente il permesso da parte della direzione ad effettuare il testaggio,

che altrove probabilmente avrei potuto somministrare con una dilatazione dei tempi di

accettazione da parte della scuola; in un’altra scuola vi sarebbe stato anche un clima di

diffidenza nei miei confronti e probabilmente tutto ciò avrebbe inciso sui punteggi.

Per quanto riguarda le variabili sopracitate (età, classe sociale, città di appartenenza) vero

è che non erano distribuite, ma allo stesso tempo erano, all’esatto opposto, del tutto

omogenee all’interno della classe. Questo mi ha permesso di pormi delle ipotesi di ricerca

a partire proprio dalla conformità del campione. Essendo, infatti, i bambini/adolescenti

quasi tutti appartenenti alla stessa classe (campionamento teorico) e avendo dunque

frequentato le medesime lezioni scolastiche hanno avuto tutti la stessa formazione

artistica-creativa. Come si nota dalle tabelle 7.5.1.1 e 7.5.1.2.1 nei tre test il gruppo

Tourette ottiene una d.s. pari a 15,1- 14,6- 16,9 superiori a quelle del gruppo di controllo

pari a 12,7- 9,8- 14,5 ad indicare l’omogeneità del gruppo non Tourette, probabilmente a

partire dalle variabili citate.

Per far fronte poi alla disomogeneità intergruppo ho inserito nel gruppo di controllo due

soggetti adolescenti; avevo esteso la domanda di partecipazione al test a più ragazzi, ma

purtroppo ho raccolto unicamente due adesioni. In ogni modo il 73,9% dei soggetti

tourettiani e il 100% dei soggetti del gruppo di controllo hanno entrambi un’età inferiore

ai 15.

Un’ulteriore osservazione riguarda la differenza di setting a cui sono stati sottoposti i due

campioni; essa può giocare a favore del gruppo di controllo che ha avuto la possibilità di

svolgere i test in modo autonomo a casa e non, come è valso per il gruppo sperimentale,

in ospedale e somministrati dalla sottoscritta con limiti di tempo ben definiti.

L’ultima limitazione da me riscontrata nella ricerca riguarda l’estensione dei tre test al

raggio d’età 6-18; per le difficoltà mi sono state riportate da genitori di ragazzi intorno ai

18 e da bambini inferiori ai 7 anni, ridurrei il range di validità a 7-16 anni.

 

CONCLUSIONE

Ripercorrendo quanto fin qui esposto, posso affermare con convinzione di aver

dimostrato il legame esistente fra creatività e sindrome di Tourette.

La creatività è appannaggio esclusivamente della natura umana e ha una funzionalità

evoluzionistica perché stimola nell’uomo processi di problem solving che gli consentono

di adattarsi all’ambiente in modo ottimale. Quest’indiscussa dote del pensiero o della

personalità qualsivoglia va di pari passo con la psicopatologia: all’aumentare dell’abilità

artistica ritroviamo spesso disturbi psichici, soprattutto nelle arti figurative, piuttosto che

nelle scienze. Nonostante la sindrome di Tourette sia più propriamente un disturbo

neurologico, il paziente tourettiano necessita di un supporto psicologico a tutti i livelli di

gravità delle sue manifestazioni sintomatiche perché quest’ultime sono estremamente

debilitanti dal punto di vista pratico e ancor più socio-relazionale. E dal momento in cui

come dimostrato dalla mia ricerca, il paziente Tourette possiede un bagaglio espressivocreativo

superiore a quello delle persone normodotate è proprio su questa vantaggiosa

predisposizione che il terapeuta dovrebbe far leva.

Gli scettici crederanno che queste loro potenzialità siano incrementate dall’uso di

psicofarmaci, o perché no dall’abuso di stupefacenti; invece, è stato dimostrato come, in

assenza di una certa affinità al mondo delle arti, sia impossibile che questi tipi di sostanze

scatenino insight creativi.

L’arteterapia è senza dubbio una tecnica riabilitativa innovativa e può destare sgomenti

da parte di chi non ne conosce gli effetti terapeutici, ma è altrettanto, per i pazienti TS in

particolare, una modalità di incanalare le loro energie in un programma che li renda

consapevoli, da una parte delle caratteristiche del proprio disturbo, dall’altra del prestigio

delle loro menti.

Per concludere citerei alcuni nomi di personaggi illustri appartenenti ai campi artistici

sopra descritti, affetti dalla sindrome di Tourette: W.A. Mozart (1756-1791), Molière

(1622-1673), S. Johnson (1709-1784).

 

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- Williams F., TCD Test della creatività e pensiero divergente, ed. Erickson, Trento 1994

 

RINGRAZIAMENTI

con i migliori ringraziamenti al chiarissimo relatore prof. Enrico Molinari,

alla Gent.ma correlatrice Dott.ssa Ornella Granatiero,

a tutti i professori del corso di Laurea in Psicologia Clinica,

al Rettore Magnifico Lorenzo Ornaghi

e all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

 

ALLEGATI

Consenso informato genitore/insegnante

Consenso informato minore

Test “Pensiero divergente”- Protocollo A

Test “Personalità creativa”

“Scala Williams”

Scheda sintetica dei risultati della valutazione

Profilo della creatività dello studente o della classe

Progetto “Creatività e Pensiero Divergente”